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domenica 6 dicembre 2009

Biennale di Venezia report

Questa nuova edizione della Biennale di Venezia prende avvio al mattino presto del 3 Giugno con un emozionante rito propiziatorio di un gruppo di danzatori Maori che inaugurano lo spazio della Nuova Zelanda. Questo segnale ci pare quello più indicativo di questa grande rassegna. Il canto stesso intonato, molto melanconico, è la cifra che centra in pieno una Biennale molto assopita e che più che guardare al domani ricorda un passato sicuro che ben non sa dove andare nel presente.
Le mostre più interessanti sicuramente quelle antologiche dedicate a Mona Hatoun alla Querini Stampalia, Rebecca Horn alla Bevilacqua la Masa in Piazza San Marco, Yoko Ono alla Bevilacqua la Masa di Palazzo Tito, Robert Rauschenberg al Peggy Guggenheim e Bruce Nauman diviso in ben tre spazi. Mentre quasi tutto il resto sembra molto noioso e privo di slancio. Perciò possiamo affermare di aver visto molti prodotti artistici, intesi come conferme stilistiche di una moltitudine di artisti che già si conoscevano, ma rarissime opere artistiche o almeno tentativi di opere. Soddisfa quindi il lavoro di un’artista come la Faveretto che coraggiosamente propone un difficile e nuovo lavoro, mentre quasi tutto l’arsenale mantiene toni molto rilassati. Un pochino meglio presso i giardini nel padiglione della Serbia con Katarina Zdjelar che presenta un’installazione variegata e stimolante, il padiglione delle Repubbliche Ceca e Slovacca che esibiscono l’intervento più forte dal titolo “Loop” di Roman Ondák, il Venezuela che pare uno dei pochi tentativi di essere parte dei propositi proposti da Daniel Birnbaum. Il Padiglione della Polonia con il lavoro “ Ospiti / Visitors / Goxcie” di Krzysztof Wodiczko, mi è parso tra i più eleganti ed efficaci.
Deludono tantissimo la Francia con un bruttissimo lavoro di Claude Lévêque, la Gran Bretagna con Steve McQueen, che mostra un magniloquente e noiosissimo video, la Germania con un mediocre lavoro installativo di Liam Gillick.
Fra gli eventi; molto interessante il simposio proposto dalla Fondazione T-BA21 e il video di Mark Lewis presentato in Campo Santa Margherita.
Lasciano alquanto perplessi i voti della giuria che premiano la realizzazione di un brutto e scomodo bar e l’ovvietà di un padiglione come quello dei paesi nordici dove forse la cosa più piacevole erano gli ironici attori che proponevano un mercato immobiliare banale e ripetitivo come le opere stesse presenti troppo simile nel gusto alla Punta della Dogana che, inaugurata in pompa magna, è parso un supermercato, molto bello, ma che conferma una sensazione di saldi dell’arte. Sicuramente più emozionante la collezione di Axel Vervoordt presentata a Palazzo Fortuny che, ripetendo la fortuna di Artempo, almeno non presenta troppe opere viste così spesso in circolazione e sui media, in quest’ultimo anno.
Il Padiglione Italia in un allestimento troppo ricco di lavori, penalizza ogni singolo artista, che confusamente si mescolano fra loro. Anche qui ogni artista conferma la propria cifra espressiva in una noia pari a quella di Cà Pesaro dove l’opposta rarefazione delle opere risulta troppo simile al vuoto.
Girando per Venezia si può dedicare una visita alle tantissime mostre tra cui mi hanno colpito quella del padiglione del Portogallo, con una serie di delicati video. “Unconditional Love” e "The fear society" all’ Arsenale Novissimo rare mostre costruita in modo lineare, l’apertura degli spazi della Fondazione Vedova, il padiglione dell’Islanda col progetto molto naif “The End” di Ragnar Kjartansson e nel medesimo edificio il Singapore con un lavoro documentativo di Ming Wong. Glass Stress all’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, in campo Santo Stefano. “Steppes of Dreamers” a Palazzo Papadopoli vicino a Campo San Polo. Il Lussemburgo con “Collision Zone” vicino al ponte dell’Accademia. La piccola e delicata mostra di “Travelling Light: Londra/Venezia09” in Fondamenta Bragadin.
Sicuramente la magia di Venezia gioca le sue carte a dare incredibile cornice anche a molte cose che forse da sole non potrebbero nemmeno stare in piedi.
La sensazione finale è che gli artisti abbiano realizzato tanti compitini, giusto per arrivare a un sei striminzito, ma rarissimi tentativi coraggiosi e significativi di fare opere d’arte. Questo conferma che stiamo attraversando un periodo culturale generale di attesa e d’immobilismo.
Forse si fosse data più attenzione all’organizzazione delle mostre e un poco meno alla preparazione della moltitudine di party e gadget, proposti dai diversi paesi/gallerie/fondazioni, sicuramente si potevano presentare lavori più validi, se lo scopo era fare arte e non mercato, visto che questo lo fanno così bene a Basilea, da domani.