lunedì 29 aprile 2024

Color, terra e umanità, impressioni sulla Biennale

 
Arsenale  - Courtesy La Biennale di  Venezia foto Andrea Avezzù 

Questa Biennale sicuramente si ricorderà per la forte presenza cromatica delle opere che propongono un'idea di mondo ancora pieno di energie e passioni. 

Nel complesso emergono alcuni padiglioni che nonostate il fragile tema etnografico esprimono una forma estetica inaspettata, che può sicuramente essere definita arte. 

Il progetto pare una evoluzione della scorsa Documenta più concentrata sulla relazioni sociali e sul ruolo di arte come comunità, mentre la Biennale pare più rappresentativa di identità. 

Domina la pittura, soprattutto espressiva, ma sono anche presenti tanti filati e video, rare le installazioni o le sculture. 


Padiglione Centrale  - Courtesy La Biennale di  Venezia foto Matteo de Mayda

Il progetto centrale del curatore ha sicuramente due focus che hanno riscosso molto interesse, la sezione dedicata agli artisti di origine italiana, migrati per il mondo, e la presenza del progetto Disobedience Archive di Marco Scotini che da diversi anni sta realizzando.


opera Untitled (Constellation)  di Kang Seung Lee foto di Mark Blower

Fra i padiglioni nazionali quelli più stimolanti sicuramente quello degli USA che colpisce per l’intensità cromatica, poi sicuramente quello della Svizzera con l’esilarante lavoro di Divin Amore, per proseguire con quello dell’Australia dal forte impegno culturale e storico.


  Daniel Otero Torres Courtesy La Biennale di  Venezia foto Marco Zorzanello

Nel complesso si conferma il ritorno della pittura, anche se spesso pare più una forma di memoria emotiva che una ricerca pittorica significativa.

Il progetto del curatore mette in risalto una sezione del mondo che pulsa di espressione ma poco di creatività, anzi molto spesso è uno stile che si esprime in forme che sono oramai statiche, che anche se avvicinate alle culture europee non hanno prodotto particolari sviluppi.

Questa cifra etnografica evidenzia un limite espressivo che manifesta la debolezza delle forme culturali quando non si trasformano con l’evoluzione culturale ma diventano realtà “musealizzate”, in cui la tradizione diventa un limite e in fondo una forma di divisione, distanza e separazione.

Il Padiglione Italia, con l'intervento di Massimo Bartolini, si discosta da queste riflessione e riesce a creare una espressione fuori dal coro che nel suo minimalismo pare anche più intensa per forma e riflessioni.

Padiglione Arabia Saudita - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù 


Padiglione Argentina - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù 


Padiglione Benin  - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù   


Padiglione Croazia  - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù  


Padiglione  Italia - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù 


Padiglione Lettonia  - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù 



Padiglione Senegal - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù


Padiglione Turchia  - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù


Padiglione Australia - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Matteo de Mayda


Padiglione Bolivia - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Matteo de Mayda


Padiglione Egitto  - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Matteo de Mayda


Padiglione Gran Bretagna   - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Matteo de Mayda


Padiglione Venezia  - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Matteo de Mayda


Padiglione Usa  - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Matteo de Mayda


Opera di Aravani Art Project - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Andrea Avezzù 


Opera di Bouchra Khalili Courtesy La Biennale di  Venezia foto Marco Zorzanello



Opera di Lauren Halsey - Courtesy La Biennale  di  Venezia foto Marco Zorzanello




Nucleo Storico  Courtesy La Biennale di  Venezia foto Marco Zorzanello

mercoledì 24 aprile 2024

Padiglione Australia

 


Eccovi il link al sito del Padiglione che consente di conoscere molto bene questo interessante progetto artistico di Archie Moore

https://www.kithandkin.me/documentation/panoramic

sabato 20 aprile 2024

Il Monte di Pietà di Prada

Immagini di “Monte di Pietà”, un progetto di Christoph Büchel. Fondazione Prada, Venezia. Foto: Marco Cappelletti 

Oggi ha aperto al pubblico, presso la Fondazione Prada a Venezia, la mostra “Monte di Pietà”, un progetto concepito dall’artista Christoph Büchel e in corso fino al 24 novembre 2024.

A partire dalla storia stratificata del palazzo settecentesco Ca' Corner della Regina, sede del Monte di Pietà di Venezia dal 1834 al 1969 e dal 2011 spazio permanente della Fondazione, Christoph Büchel ha costruito una complessa rete di riferimenti spaziali, economici e culturali. “Monte di Pietà” è un’approfondita indagine del concetto di debito come radice della società umana e veicolo primario con cui è esercitato il potere politico e culturale. Storicamente un crocevia di commistioni e scambi commerciali e artistici, Venezia è il contesto ideale per esplorare le relazioni tra questi temi complessi e le profonde dinamiche della società contemporanea.

 “Monte di Pietà” si sviluppa come un’installazione immersiva che si articola nel palazzo di Ca’ Corner e, in particolare, nel piano terra, mezzanino e primo piano nobile. Il progetto consiste in un banco dei pegni in fallimento basato sull’aspetto originale del Monte di Pietà di Venezia. In questo contesto è esposta l’opera The Diamond Maker (2020-) che Christoph Büchel ha concepito come una valigia contenente diamanti realizzati in laboratorio. I diamanti sono il risultato di un processo fisico e simbolico di distruzione e trasformazione dell’intero corpus di opere in possesso dell’artista, comprese quelle create nel corso della sua infanzia e giovinezza così come quelle non ancora realizzate. Sono stati prodotti da ALGORDANZA AG, un’azienda globale fondata in Svizzera nel 2004 che realizza diamanti della memoria. “Monte di Pietà” incorpora nuove produzioni, riferimenti a installazioni realizzate in precedenza da Büchel, una selezione eterogenea di oggetti, opere d’arte storiche e contemporanee e documenti legati alla storia della proprietà, al credito e alla finanza, allo sviluppo di collezioni e archivi, alla creazione e al significato di ricchezza reale o artificiale.


Immagini di “Monte di Pietà”, un progetto di Christoph Büchel. Fondazione Prada, Venezia. Foto: Marco Cappelletti 

CS

Originariamente dimora dei mercanti veneziani Corner di San Cassiano, Ca’ Corner della Regina è costruitatra il 1724 e il 1728 sulle rovine del palazzo gotico in cui nel 1454nasce Caterina Cornaro, futura regina di Cipro. Nel1800, l’edificio diventaproprietàdi Papa Pio VII, che lo assegna alla Congregazione dei Padri Cavanis. Dal 1834 al 1969 il palazzo ospita il Monte di Pietà di Venezia. Nel 1975 diventasededell’Archivio Storico della Biennale di Venezia e dal 2011 è uno deglispazi espositivi permanenti della Fondazione Prada. A partire da questa storia stratificata, Christoph Büchel ha costruitouna complessarete di riferimenti spaziali, economici e culturali. “Monte di Pietà” è un’approfondita indagine del concettodi debito come radice della società umana e veicolo primario con cui è esercitatoil potere politico e culturale. Storicamenteun crocevia di commistioni e scambi commerciali e artistici, Veneziaè ilcontesto ideale peresplorarele relazioni tra questi temi complessie leprofondedinamiche dellasocietà contemporanea.“Monte diPietà” si sviluppa come un’installazione immersiva che si articola nel palazzo di Ca’ Corner e, in particolare, nel piano terra, mezzanino e primo piano nobile. 

Il progetto consiste in un banco dei pegni in fallimento basato sull’aspetto originale del Monte di Pietàdi Venezia. In questo contesto è esposta l’opera The Diamond Maker (2020-) che Christoph Büchel ha concepito comeuna valigia contenente diamanti realizzati in laboratorio. I diamanti sono ilrisultato di un processo fisico e simbolico di distruzione e trasformazione dell’intero corpus di opere in possesso dell’artista, comprese quelle create nel corso della sua infanzia e giovinezza così comequelle non ancora realizzate. Sono stati prodotti da ALGORDANZAAG, un’azienda globale fondata in Svizzera nel 2004 che realizza diamanti della memoria. “Monte diPietà” incorpora nuove produzioni, riferimenti ainstallazioni realizzate in precedenzada Büchel, una selezione eterogenea di oggetti, opere d’arte storiche e contemporaneee documenti legati alla storia della proprietà, al credito e alla finanza, allo sviluppo di collezioni e archivi, alla creazione e al significato di ricchezza reale o artificiale. “Monte di Pietà” attraversa i confini indefiniti tra la dimensione fisicae virtuale della nostra contemporaneità.Grazie all’attività online di una granfluencere l’attivazione di una criptovaluta, il progetto indaga l’immaterialità e la volatilitàdelle transazioni finanziarie nella sfera digitale che, in un processo quasi alchemico, bruciano la ricchezza per produrre nuovo valore. I meccanismi speculativi tipici delle criptovalute sono modificatia favore delle persone nate o residenti nel Comune di Venezia. Questotoken, chiamato Schei e promosso su TikTok dalla granfluencer Regina de schei, punta quindi a generarenuovo profitto e a distribuirlo agli abitanti di Venezia.

Immagini di “Monte di Pietà”, un progetto di Christoph Büchel. Fondazione Prada, Venezia. Foto: Marco Cappelletti 

Nate in Italia nel XV secolo, le istituzioni cattoliche chiamate Monti di Pietà consentivano ai meno abbientidi accedere a prestiti a basso tasso di interesse. Utilizzavano i fondi di donatori caritatevoli come capitale e concedevano prestiti a persone con reddito modesto. I debitori offrivano oggetti di valore come garanzia, rendendo il Monte di Pietà un’organizzazione al confine tra un banco dei pegni e una banca. Ogni oggetto portava con sé una storia personale, un debito e un credito, un tasso di interesse e un prezzo di vendita nel caso in cui il debitore non fosse tornato a pagare il credito e gli interessi entroun determinato periodo. Dopo diversi tentativi falliti tra il XVI e il XVIII secolo, nel 1806 fu istituito a Venezia il Banco Pignoratizio Comunale. Nel 1822 fu creata la Cassa di Venezia, una banca locale aperta al pubblico. Associata al Banco Pignoratizio, poteva finanziare operazioni di prestito su pegno attraverso la raccolta di risparmi. Nel 1834 l’Istituto prese il nome di Monte di Pietà di Venezia e la sua sede fu trasferitanel prestigioso palazzodi Ca’ Corner della Regina. Nella storia occidentale, il debito, il denaro virtuale e la nascita della moneta sono intrinsecamente legati alla gestione del potere che permette l’espansione e l’accumulazione. Il debito ha sempre svolto un ruolo essenziale negli sconvolgimenti sociali e politici e nel corso della storia i governi hanno messo in atto a più ripresecancellazioni del debito, spesso per ripristinare l’ordine socialepreesistente. Nello specifico, la Repubblica di Venezia era uno stato mercantile che ha contribuito alla nascita dei moderni mercati finanziari basati sul debito e sul riconoscimento giuridico della proprietà intellettuale. Il debito è inoltre strettamente legato alle pratiche di stoccaggio e accumulo di benimateriali e immateriali. Il sistema dell’arte e le istituzioni museali svolgonoun ruolo significativo nel preservare patrimoni e collezioni e nell’assegnare un valore simbolico ed economico a beni e oggetti. 

mercoledì 17 aprile 2024

When Solidarity Is Not a Metaphor


Adelita Husni-Bey,  Encounters on Pain 2016 - 2022. Image courtesy of the artist.


 When Solidarity Is Not a Metaphor exhibition opens in Venice, propelled by a daring programme of participatory convenings and performances

Created by Alserkal Initiatives in partnership with Cité internationale des arts and in collaboration with Lightbox, When Solidarity Is Not a Metaphor opens today and runs until 21 April 2024 at My Art Guides Venice Meeting Point, Navy Officers’ Club, Arsenale, Venice. 

Curated by Nataša Petrešin-Bachelez, Arts and Culture Programme Manager at Cité internationale des arts, the exhibition and its integrated programme challenge the understanding of ‘solidarity’ as merely an object of theorising and discourse. When Solidarity Is Not a Metaphor features thirteen artists and eleven programme contributors from more than a dozen countries including Sudan, Palestine, Myanmar, Ukraine, Guadeloupe, and Cameroon.

When Solidarity Is Not a Metaphor is driven by a programme of direct, non-mediated participatory experiences, unrehearsed ‘heart-to-heart’ conversations between practitioners, and site-specific performances.

Saul Williams and Anisia Uzeyman, from New York and Paris by way of Rwanda, respectively, have created Charging Station, a public space in which direct messages are shared in-person, as a communal initiation to resistance. Charging Station ignites debate every day from 18 to 20 April, beginning at 15.00. 

Sandi Hilal and Alessandro Petti, whose work as DAAR (Decolonizing Architecture Art Research) unpacks how politics are channelled through pedagogy and the built environment, propose direct conviviality and sociability in Join For Coffee: We Need to Talk. In this intervention, taking place every morning from16 to 18 April (09.00 to 11.00) on the ‘fondamente’ in front of the Navy Officers’ Club, the artists invite passers-by to share their coffee ritual and talk about Palestine.  



Dima Srouji, Revolutionary Enclosures Until the Apricots (2023), image courtesy of the artist



Paula Valero Comin, Manifestation Végétale and Resistant Herbarium Rosa Luxemburg, 2022. image courtesy of the artist



Museum of Breath collaborator Olivier Marboeuf, La Mémoire des hauts-fonds. Image courtesy of the artist 

Care threads throughout the exhibition and the programme, notably in Adelita Husni-Bey’s work Encounters On Pain which is both installation and intervention. On 16, 18 and 19 April (10.00 to 12.00), the artist will receive individual guests in a therapy chamber in the Club, to discuss their experiences with emotional and physical injury, mapping out pain points on medical paper. 

Archival research intersects with electronic music in Maya al-Khaldi and Sarouna’s Other World, an album produced by the all-women-led Tawleef. The artist duo have unpicked the Palestinian archive of musical heritage from the Popular Art Centre in Ramallah, folding the traditional melodies, instrumentation, and lyrics into contemporary soundscapes. Al-Khaldi’s haunting vocals and Sarouna’s innovative qanun harmonies chart unexplored musical territories. The artists perform on 17 April at 16.00 in the garden of the Navy Officers’ Club. 
 
Cameroonian artist and choreographer Zora Snake presents L’Opéra du villageois, an acerbic performance on the great debate surrounding the restitution of objects. A theatre piece re-imagined for the space around the Navy Officers’ Club, L’Opéra—rich in effects like the flag and tomb of the European Union and a gold-and-salt ritual—critiques the historical plunder of resources and the silent, enforced submission of colonised peoples. L’Opéra will be performed on 17 April at 14.00

Heart-to heart-conversations offer a genuine, unscripted exchange on what deeply matters to artists at a given moment. These quick, unmoderated often visceral sessions emanate from a space in which artists can listen and respond, building an engaging and reciprocal dynamic. The first conversation, on 17 April at 15.00, features Elena Sorokina and Magdi Masaraa, members of the Paris-based Initiative for Practices and Visions of Radical Care, speaking to artist Saad Eltinay.

Later, on 19 April at 17.00, artist Rehaf Al Batniji is in conversation with Bani Khoshnoudi.                   
Commenting on the curation of the programme and exhibition, curator Nataša Petrešin-Bachelez, Arts and Culture Programme Manager at Cité internationale des arts, remarked: “I conceive of exhibitions as spaces where the ‘distribution of sensible’ takes place. According to Jacques Rancière, any distribution of sensible in a given public or private space sets the divisions between what is visible and invisible, sayable and unsayable, audible and inaudible. Thus, this exhibition intends to be a sensible political constellation of positions that form visual, performative, discursive, and aural alliances in a kind of interdependence.”

Vilma Jurkute, Executive Director of Alserkal Initiatives, said: “When Solidarity is Not a Metaphor is a collective attempt grounded in the cognitive generosity of our partner institutions and a global civic network of multi-disciplinary practitioners. In light of the ongoing injustices in Palestine, Sudan, Ukraine, and other parts of the world, it feels imperative for us at Alserkal to embody the spirit of lived practice and extend our platform to the Venice Biennial. By working with artists whose practices are embedded in the ethics of care, we hope to encourage whole-thinking structures and shared moments of intention to emerge.”

The exhibition runs from 16 to 21 April 2024, and will be open from 09.00 to 20.00 daily. 
 
Featured artists include Majd Abdel Hamid, Yana Bachynska, Rehaf Al Batniji, Saad Eltinay, D Harding, Adelita Husni-Bey, Nge Lay, Museum of Breath, Koushna Navabi, Shada Safadi, Dima Srouji and Jasbir Puar, and Paula Valero Comín. Programme contributions by DAAR - Sandi Hilal and Alessandro Petti, Initiative for Practices and Visions of Radical Care (Bani Khoshnoudi, Magdi Masaraa, Elena Sorokina), Maya Al-Khaldi and Sarouna, R22 Tout-Monde, Zora Snake, Saul Williams and Anisia Uzeyman.

Padiglione di Israele chiuso

 


L'artista Ruth Patir con i curatori della mostra del Padiglione di Israele hanno deciso di chiudere il padiglione fino a quando non sarà cessato il fuoco e gli ostaggi saranno liberati.

domenica 14 aprile 2024

La storia della Biennale di Venezia

 


Presso il Cinema Monviso di Cuneo si svolgerà, il prossimo 15 Aprile alle ore 15,30, la conferenza per l'UNI3 di Cuneo sul tema della Biennale di Arti Visive di Venezia. 

Relatore dell'incontro sarà l'operatore artistico Domenico Olivero che racconterà la storia passata e prensente dell’evento più importante nel mondo dell’arte contemporanea. 

Venezia è il luogo di confronto del fare artistico a cui tantissime nazioni aderiscono e che quest’anno vedrà la partecipazione di oltre novanta nazioni. Si tratta di un evento che è diventato un modello culturale copiato in tutto il mondo.

L’incontro si svilupperà nel racconto della storia della Biennale con un focus sull’edizione che si aprirà il prossimo 20 aprile a Venezia.

L'ingresso è riservato agli iscritti dell'UNI3 di Cuneo, per informazioni visitare il sito  https://www.unitrecuneo.it/ 


venerdì 12 aprile 2024

From Caspian to Pink Planet: I Am Here,

Vusala Agharaziyeva, Pink Planet, 2023-2024, Acrilico / tela, acrylic/canvas, 130 x130 cm. Photo by Nigar Rzayeva.
 Image courtesy of Vusala Agharaziyeva


Il Padiglione dell’Azerbaigian presenta, in occasione della sua partecipazione alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, From Caspian to Pink Planet: I Am Here, realizzato dalla Fondazione Heydar Aliyev e aperto al pubblico dal 20 aprile al 24 novembre 2024.

 L’esposizione, a cura di Luca Beatrice e Amina Melikova, trae ispirazione dal tema proposto da Adriano Pedrosa, direttore della 60. Esposizione Internazionale d’Arte- La Biennale di Venezia, per esplorare i diversi significati dell’espressione “Stranieri ovunque/Foreigners anywhere”, interpretati da tre artisti: Vusala Agharaziyeva, Rashad Alakbarov e Irina Eldarova.

 La mostra From Caspian to Pink Planet: I Am Here presenta una risposta unica a “Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere”. Il suo ottimismo risiede nella tesi che una persona può essere presente ovunque - fisicamente e/o mentalmente. Anche come straniero, il potere dell'immaginazione e dell'empatia permette di dominare (o di stabilirsi) in un ambiente sconosciuto e di mettervi radici.

 Le opere esposte esplorano metaforicamente i legami profondi e resistenti tra gli individui e i loro ambienti. Ciascuna opera, insieme alla varietà di media utilizzati per trasmetterne i concetti artistici, è direttamente collegata al tema generale della Biennale ed è allo stesso tempo una vivida illustrazione dei tratti distintivi della società dell'Azerbaigian.

 Spiega Luca Beatrice, co-curatore del Padiglione: “È bastata una veloce visita a Baku per capire l’effervescenza culturale e artistica di questo antico Paese, dove l’architettura contemporanea dialoga con la storia, la tecnologia e l’industria compiono rapidissime accelerazioni e l’arte diventa lo specchio più fedele di questo atteggiamento proiettato verso il futuro”. La mostra ha un titolo intrigante: From Caspian To Pink Planet: I Am Here - un compendio dei titoli delle opere presentate dai tre artisti. C’è il mare locale che si rifornisce di petrolio, una visione filosofica del pianeta, Hollywood, come l'Oriente che incontra l'Occidente, ma, in risposta a Foreigners Everywhere, sopraggiunge l'affermazione definitiva I Am Here.

 Spiega Amina Melikova, co-curatrice del Padiglione: "I tre artisti rappresentati quest'anno nel Padiglione dell'Azerbaigian appartengono a generazioni diverse e utilizzano mezzi espressivi e tecniche differenti.  Tuttavia, le loro opere selezionate per l'esposizione alla Biennale toccano, in un modo o nell'altro, situazioni che intrecciano realtà e fantasia in cui un individuo deve superare l'alienazione e raggiungere un senso di appartenenza all'interno dello spazio osservato/immaginato".

 Inserendosi nel solco tracciato dai curatori, gli artisti hanno ideato e proposto una selezione di opere concepite per invitare il pubblico ad addentrarsi in una delle tematiche culturali e sociali più urgenti del nostro tempo.

 Il progetto di Vusala Agharaziyeva, Pink Planet,  immagina uno scenario fantascientifico, facendo riferimento alle illustrazioni apparse nelle opere di letteratura futuristica degli anni Cinquanta e Sessanta. Interpretati attraverso una varietà di media, tra cui la pittura, la scultura e le installazioni digitali, i viaggi che hanno plasmato il suo background sono una costante nella narrazione dell'artista, che fa eco alla sensazione di sentirsi estranei alla propria esistenza, qui intravista nell'atto di sbarcare in surreali paesaggi extraterrestri intrisi di vivaci sfumature di rosa.

 Rashad Alakbarov  espone nel padiglione un'opera di grandi dimensioni, l'installazione I Am Here. Tra le pareti bianche asettiche di una moderna città labirintica, l'artista ricrea l'atmosfera opprimente delle traiettorie anguste e predeterminate del nostro movimento nello spazio vitale, movimento scandito dal ritmo delle strutture in cui siamo costretti a inserirci. Tuttavia, c'è una via d'uscita: il punto è trovare l'angolo da cui l'imperativo è visibile nello specchio (nel senso diretto e figurato della parola) - Io sono qui.

Irina Eldarova  afferma che le donne sono fondamentalmente straniere. Si sposano, si trasferiscono dalla casa dei genitori, a volte persino dal loro Paese.

Questa serie racconta l'incontro e l'amore non realistico e fittizio tra due eroi mitizzati dai mass media negli anni '60 e '70 - un tipico lavoratore maschile dei giacimenti petroliferi offshore del Mar Caspio e l'idolo di Hollywood Marilyn Monroe. L'apparizione di uno straniero nella scenografia di una quotidianità industriale già romanzata crea un intrigo semantico particolare.

In questa storia, lo scenario più improbabile è quello dell'incontro tra un simbolo pop e un comune petroliere di Baku. L'effimero femminile e il duro lavoro brutale. Due stranieri provenienti da due mondi lontani. Una combinazione di due miti, audaci nel concetto e nella realizzazione - i luminosi ideali del comunismo e il sogno americano - l'aria di irrealtà, come la vive chi si trova in un ambiente sconosciuto. Qui solo la gentilezza e l'attenzione danno la forza di diventare se stessi in un luogo nuovo che un giorno diventa casa.


From Caspian To Pink Planet: I Am Here

Artisti: Vusala Agharaziyeva, Rashad Alakbarov e Irina Eldarova

 a cura di Luca Beatrice e Amina Melikova

 20 aprile - 24 novembre 2024

Arsenale, Campo della Tana, Castello 2126/A - 30122 Venezia

Inaugurazione ufficiale: giovedì 18 aprile 2024, dalle ore 12.00

La FSRR a Venezia

 


Eun-Me Ahn
Pinky Pinky “Good”: San Giacomo’s Leap into Tomorrow
A cura di Hans Ulrich Obrist
Isola di San Giacomo, Venezia
18 aprile 2024, h. 12

Il 18 aprile 2024 la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta Pinky Pinky ‘Good’: San Giacomo's Leap into Tomorrow, un nuovo progetto dell’artista, danzatrice e coreografa coreana Eun-Me Ahn, sull’Isola di San Giacomo nella laguna di Venezia.  L’evento, a cura di Hans Ulrich Obrist, coincide con l’apertura della 60. Esposizione Internazionale d’arte - Biennale di Venezia.

Le visitatrici e i visitatori potranno tornare sull’isola, terza sede della Fondazione attualmente in restauro, la cui inaugurazione al pubblico è prevista nel 2025.

Pinky Pinky "Good" è un rituale collettivo e trasformativo di benedizione, ispirato alla tradizione sciamanica coreana e concepito per l'Isola di San Giacomo. Eun-Me Ahn invoca gli spiriti del passato su un'isola che, in tempi diversi, ha ospitato un antico monastero e una guarnigione militare dell'era napoleonica, onorando la sua nuova esistenza come luogo per l'arte contemporanea. 

L'evento, prodotto dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, è reso possibile anche grazie agli sponsor Asja e UBS, allo sponsor tecnico Samsung Foundation of Culture e al supporto di PKM Gallery.

giovedì 11 aprile 2024

Ydessa Hendeles Grand Hotel


 

L'Art Museum dell’Università di Toronto presenta la personale di Ydessa Hendeles Grand Hotel, una mostra site-responsive curata da Wayne Baerwaldt, in collaborazione con la produttrice del progetto Barbara Edwards. In Grand Hotel, Ydessa Hendeles esplora i temi critici dell’identità culturale, delle migrazioni, del trauma intergenerazionale e della perdita che collegano il passato al presente.

La mostra, ispirata alla storia di persecuzione e migrazione familiare dell’artista, offre un’esperienza viscerale che affronta le percezioni dell’identità culturale e dell’alterità. In un contesto che richiama Il mercante di Venezia e il Ghetto Ebraico, Grand Hotel presenta un’interrogazione tempestiva sulle dinamiche psicosociali che costruiscono il nostro mondo.

Per oltre due decenni, gallerie e istituzioni leader in Nord America, Europa, Asia e Medio Oriente hanno esposto le composizioni uniche e su larga scala di Hendeles, invitando gli spettatori a trovare un riscontro individuale nelle creazioni d’ispirazione storica, intensamente personali e al tempo stesso ampiamente rilevanti. Grand Hotel segna l’ultima iterazione del corpus di opere dell’artista.

Ydessa Hendeles, cittadina canadese e polacca nata a Marburg, in Germania, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, è figlia unica di una coppia sopravvissuta ad Auschwitz, appartenente alla comunità ebraica di Zawiercie, in Polonia, cancellata durante l’Olocausto. Nel 1951 la famiglia si trasferì a Toronto per iniziare una nuova vita, dove Hendeles crebbe e iniziò il suo percorso nel mondo dell’arte contemporanea. 

Durante la sua rilevante carriera come gallerista, collezionista e curatrice, ha allestito più di 100 mostre dal 1980, creando negli anni uno spazio distintivo nel mondo dell’arte. Pioniera della curatela come pratica artistica, il suo lavoro innovativo ha ispirato una nuova generazione di curatori.

Da allora, Hendeles ha continuato a sviluppare le sue “composizioni curatoriali” come una pratica artistica innovativa. Questo processo è stato elaborato in una nuova pubblicazione, The Milliner’s Daughter: The Art Practice of Ydessa Hendeles, con un’ampia analisi di Ernst van Alphen e Mieke Bal, un saggio di Emily Cadger, un’intervista di Gaëtane Verna di Markus Müller e una prefazione di Gaëtane Verna, pubblicato da Verlag der Buchhandlung Walther und Franz König, Colonia. 

Grand Hotel sarà inoltre accompagnato dalle Note dettagliate di Hendeles, su ciascun elemento della mostra, essenziali per la pratica dell’artista.

Spazio Berlendis
Cannaregio - Calle Berlendis 6301
30121 Venezia (VE)
info@spazioberelndis.it

mercoledì 10 aprile 2024

OSMAN YOUSEFZADA

Yousefzada creates a moving meditation on modernity and migration using handcrafted textile works, printworks, moving image and sculptures to transform the interiors of the historical Palazzo, converting classical grandeur into a surreal landscape where traditions meet, and the table is set. The intervention across the Palazzo is a continuation of a body of work that explores themes of unity, movement and migration in modern society. The work presents the natural evolution of ideas Yousefzada first explored within his 2022 exhibition What Is Seen and What Is Not, a solo show originally commissioned by the British Council in partnership with the V&A.

WELCOME! A PALAZZO FOR IMMIGRANTS
17 April – 7 October, 2024
Palazzo Cavalli-Franchetti, San Marco, 2847, Venice
Curated by Nadja Romain and Amin Jaffer

martedì 9 aprile 2024

Robert Indiana a Venezia

Robert Indiana: Installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2022. left to right: Column Die 1963-64, Column Love 1963-64, Column Eat/Hug/Err 1964, Column Eat 1963-64, Column Eat/Hug/Die 1964, Column Hug 1964; My Mother 1964/98, My Father 1964/98, Call Me Ishmael 1964/98, Call Me Indiana 1964/98, Bob’s Column 1964/98, Dillinger 1964/98; Love is God 1964 Photo: © Jonty Wilde, courtesy of Yorkshire Sculpture Park. Artwork: © 2024 Morgan Art Foundation Ltd./ Artists Rights Society (ARS), Courtesy The Robert Indiana Legacy Initiative

  ROBERT INDIANA: THE SWEET MYSTERY. Evento collaterale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia

Una nuova prospettiva su uno degli artisti più iconici al mondo La mostra è visitabile dal 17 aprile al 24 novembre presso le Procuratie Vecchie in Piazza San Marco. Presentata da Yorkshire Sculpture Park e curata da Matthew Lyons

Yorkshire Sculpture Park presenta Robert Indiana: The Sweet Mystery, evento collaterale ufficiale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, allestito presso lo storico complesso delle Procuratie Vecchie, recentemente restaurato dall’architetto David Chipperfield, vincitore del premio Pritzker. La mostra, sviluppata con The Robert Indiana Legacy Initiative, offre una prospettiva rivelatrice sull’opera di Indiana, incentrata sui temi fondamentali della spiritualità, dell’identità e della condizione umana, essenziali per comprendere l’evoluzione creativa dell’artista. Le opere in mostra ripercorrono sei decenni della carriera di Indiana e comprendono opere giovanili significative, alcune delle quali raramente esposte.

Simon Salama-Caro, fondatore e direttore di The Robert Indiana Legacy Initiative, ha dichiarato: “Con il passare degli anni è sempre più evidente come Bob Indiana sia stato uno dei più grandi artisti della nostra epoca. Aveva la straordinaria capacità di immergersi profondamente nello spirito del suo tempo, realizzando opere complesse, innovative, stratificate e di grande intensità emotiva. È meraviglioso constatare come l’eredità artistica di Bob sia ora riconosciuta alla Biennale di Venezia, dove le sue opere possono essere apprezzate sotto una nuova prospettiva accademica”.

Figura preminente dell’arte americana, Robert Indiana (1928-2018) è celebre per la serie iconica LOVE. Leader influente del Pop, si è distinto per aver affrontato rilevanti questioni sociali e politiche, inserendo nelle sue opere profondi riferimenti storici, letterari e biografici. Il titolo della mostra, The Sweet Mystery, è tratto da uno dei primi dipinti in cui Indiana ha inserito le parole, una pratica che caratterizzerà la sua carriera.

Clare Lilley, direttrice dello Yorkshire Sculpture Park e curatrice di Robert Indiana: Sculpture 1958-2018 (YSP 2022-23), ha dichiarato: “La reazione del pubblico all’opera di Robert Indiana testimonia la continua importanza di questo straordinario artista per nuove generazioni di persone diverse. Indiana ha risposto al mondo materiale reinventando e assemblando oggetti e immagini in un linguaggio nuovo, che amplifica le preoccupazioni politiche e sociali e promuove l’unità, l’accettazione e l’amore. La genialità di Indiana risiede nell’abilità di plasmare una poesia raffinata e decisa in forme materiali meticolosamente realizzate. È entusiasmante osservare come la sua opera interagirà con l’architettura delle Procuratie Vecchie e con un pubblico nuovo”.

Robert Indiana: The Sweet Mystery, curata da Matthew Lyons, rappresenta la più significativa esposizione dell’opera dell’artista in Italia. La mostra presenta oltre 40 opere, tra dipinti e sculture, che esplorano la condizione umana e la fede in tempi tumultuosi. Tra le opere principali esposte figurano The Sweet Mystery, EAT/DIE, Love is God e The Melville Triptych.

Matthew Lyons ha commentato: “Questa mostra esplora con meticolosa maestria l’uso che Indiana fa dell’autoreferenzialità per indagare profonde questioni metafisiche sulla natura della vita. Integrando nelle sue opere dettagli biografici intricati, Indiana crea non solo una narrazione personale ma sottolinea anche i legami duraturi con i movimenti artistici radicali del passato in America. Attraverso una selezione tematica di opere, la mostra funge da portale che introduce una nuova generazione di spettatori alla prospettiva Pop peculiare e trascendentale di Indiana, mentre affrontano i loro pressanti dilemmi esistenziali in questo secolo”.

La mostra è ospitata al secondo piano delle Procuratie Vecchie, mentre il terzo piano è stato dedicato da Generali alla Home of The Human Safety Net e alla mostra interattiva “A World of Potential”, un hub aperto alla comunità internazionale che tratta i temi dell’inclusione sociale, dell’innovazione e della sostenibilità.

Il catalogo della mostra sarà completamente illustrato e includerà nuovi studi sull’opera dell’artista, con contributi di Clare Lilley, Allan Schwartzman e Matthew Lyons.

Robert Indiana

Dopo un’infanzia itinerante nel Midwest americano e una formazione artistica a Chicago e in Europa, Robert Indiana giunge a New York nel 1954 utilizzando ancora il suo nome di battesimo, Robert Clark. Due anni dopo, un incontro fortuito con Ellsworth Kelly modifica il corso personale e professionale della sua giovane esistenza.

Si ritrova ben presto a vivere in un loft a Coenties Slip, un’area decadente di Lower Manhattan, dove i resti di un vivace passato marittimo si confondono con il fiorente settore finanziario. Avendo scarsi mezzi per il materiale artistico, Indiana crea assemblaggi usando i residui dell’attività portuale circostante, sviluppando parallelamente un linguaggio pittorico bidimensionale, in dialogo con l’affiatata comunità di vicini, tra cui artisti d’avanguardia come Kelly, Agnes Martin, James Rosenquist, Cy Twombly e Jack Youngerman. Durante questo periodo di fervore, in un atto di reinvenzione e rinascita si ribattezza con il nome del suo stato natale, l’Indiana. All’inizio degli anni Sessanta, realizza tele audaci, caratterizzate da geometrie pure, testi e numeri in toni non modulati, in risposta alla cultura visiva di un consumismo sempre più pervasivo. Le sue opere, ricche di reminiscenze personali e dettagli biografici, esplorano interrogativi universali sulla condizione umana e sulla fede in epoche turbolente, affrontando contemporaneamente temi legati all’identità queer e al sé. La sua peculiare forma di Pop art rappresenta un’estensione del radicalismo americano, attingendo alle radici dei trascendentalisti del XIX secolo e alla sperimentazione formale dei primi modernisti. Attraverso una selezione mirata che abbraccia oltre cinquant’anni di produzione artistica, comprese molte opere giovanili raramente esposte, Robert Indiana: The Sweet Mystery presenta Indiana a un nuovo pubblico, invitandolo a riflettere su questioni metafisiche di fronte alle sfide del XXI secolo.

Yorkshire Sculpture Park

Fondato nel 1977, YSP è un centro internazionale unico di scultura moderna e contemporanea. È un ente benevolo e un museo, situato nella tenuta di Bretton Hall, una proprietà del XVIII secolo che si estende su oltre 200 ettari nel West e South Yorkshire. Con un programma culturale straordinario, mostre itineranti e sculture permanenti e temporanee integrate nel paesaggio, nel corso della sua storia YSP ha collaborato con più di 1.000 artisti provenienti da oltre 40 Paesi. Tra questi Ai Weiwei, Fiona Banner, Tony Cragg, Leonardo Drew, Barbara Hepworth, Damien Hirst, Robert Indiana, KAWS, Lindsey Mendick, Henry Moore, Annie Morris, David Nash, Sean Scully, Chiharu Shiota, Yinka Shonibare CBE, David Smith, James Turrell, Joana Vasconcelos, Bill Viola ed Erwin Wurm.

The Robert Indiana Legacy Initiative

Fondata nel 2022, The Robert Indiana Legacy Initiative si impegna a diffondere la conoscenza e l’apprezzamento per la vastità e la profondità dell’opera di Robert Indiana. Rivolta a curatori, studiosi, collezionisti, professionisti del mercato dell’arte e al grande pubblico, The Robert Indiana Legacy Initiative gestisce una collezione e un archivio delle opere dell’artista, promuove e sostiene mostre e installazioni pubbliche, assiste e promuove la ricerca accademica su Indiana e la sua carriera artistica; gestisce il sito web ww.robertindiana.com e pubblica una newsletter.

Procuratie Vecchie

Le Procuratie Vecchie sono state aperte al pubblico per la prima volta in 500 anni di storia nel 2022, dopo un’importante opera di restauro a cura di David Chipperfield, commissionata da Generali e diretta da Generali Real Estate. Il terzo piano ospita la sede di The Human Safety Net, fondazione attiva in 26 Paesi per liberare il potenziale di chi vive in condizioni di vulnerabilità. La mostra permanente “A World of Potential” e l’Art Studio sono concepiti come un’esperienza che guida i visitatori alla scoperta della combinazione unica dei punti di forza caratteriali individuali, consentendo loro di riconoscere le migliori qualità nelle persone che li circondano.

Per informazioni e prenotazioni:

indiana@dh-office.com

La selva di Jospin

 


Da sempre la ricerca di Eva Jospin (Parigi, 1975) trae ispirazione dalla natura in tutte le sue articolazioni semantiche e visive. Attraverso l’uso di materiali quali cartone, elementi e fibre vegetali, parti metalliche, tessuto, l’artista dà vita a composizioni plastiche anche di grande volume e dal forte impatto scenografico. Opere dal tono fiabesco, a tratti misterioso, quasi magico, che evocano o ricreano un mondo che è al centro dei propri interessi: paesaggi, alberi, piante, rami, foglie, formazioni geologiche, brani di vegetazione, strutture architettoniche che inducono a riflettere su vari temi quali la creatività, i processi operativi e intellettuali attraverso i quali essa si esplicita, oggi come in passato. 

Il progetto al Museo Fortuny di Venezia lo rappresenta una volta di più: le opere, immaginate per l’occasione, dialogano non solo con il contesto storico e ambientale che le accoglie, Palazzo Pesaro degli Orfei, ma soprattutto con l’identità delle raccolte che custodisce, ovvero la produzione artistica di Mariano Fortuny. 

Un dialogo che lascia emergere impreviste affinità estetiche e operative tra le poetiche dei due interpreti: un confronto e rimando continuo tra Jospin e Fortuny sulla natura, sui processi creativi e sperimentali, che trovano la massima espressione tanto nell’ideazione e ricerca sul tessuto, quanto nello studio dell’artificio e della finzione scenica, sempre connaturati all’universo teatrale, riflettendosi costantemente sui temi della prospettiva, delle proporzioni e sul rapporto visivo ed emotivo tra creazione artistica e spettatore.

La grande installazione nel portego di Museo Fortuny è una “selva” artificiale che, una volta percorsa, dà la sensazione di perdere ogni cognizione di tempo e spazio, di trovarsi in un “altrove” indefinito e disorientante. 

Il fulcro dell’installazione è Galleria (2021-2024): un passaggio ad arco con soffitto a cassettoni realizzato con cartone, legno e materiali vari in cui ricorrono diverse fonti d’ispirazione del lavoro dell’artista. Alcune di queste, derivanti dai suoi viaggi in Italia, come le architetture rinascimentali e barocche, quelle classiche, capricci, rovine e fontane, ville patrizie e dimore storiche, edifici religiosi, fino alle opere nei musei. All’interno della struttura, come in uno studiolo rinascimentale, trova posto una sequenza di pannelli in legno, cartone e collage alternati a disegni che raffigurano delle vedute che, pur facendo riferimento a elementi della quotidianità, evocano un mondo lontano, fiabesco, quasi mistico come quello delle atmosfere simboliste e nabis.

Alle estremità del corridoio si trovano due composizioni plastiche che ne costituiscono il duplice ingresso. La prima, anch’essa chiamata Galleria (2021-2024), riproduce quasi a dimensione naturale una sezione di foresta resa ancora più credibile dai colori bruni del legno e della fibra di cellulosa che le danno consistenza. La seconda, Nymphées (2022-2024), appare come un omaggio dell’artista alla tradizione architettonica veneziana dal XVI secolo in poi: una serliana articolata in un’apertura centrale ad arco e due laterali trabeate al cui interno sono appesi due ricami incorniciati, sovrapposti, a loro volta, ad altri ricami seguendo una modalità espositiva che ricorre anche nell’allestimento dell’atelier di Mariano Fortuny al piano superiore del museo.  Chiusa ai lati da due pannelli i dipinti a trompe-l’oeil di soggetto agreste fanno eco a quelli eseguiti da Fortuny nel “giardino d’inverno” al primo piano dell’abitazione. 

Sul fondo del portego si accede a una sala ove, affiancato da alcune prove grafiche a inchiostro riferibili ai due ricami più grandi, trova posto Carmontelle (2023), un panorama “animato” ispirato ai paesaggi trasparenti ideati da Louis Carrogis de Carmontelle (Parigi 1717-1806): vedute incise su tela e fatte ruotare su un rotolo di carta teso tra due strutture cilindriche usate come sfondo per azioni sceniche e teatrali. In maniera analoga Jospin elabora una veduta traforata mossa da un dispositivo meccanico che rievoca, idealmente, quelli concepiti dal pittore e architetto francese del XVIII secolo tanto nella struttura quanto nella funzione scenica e, al tempo stesso, richiama l’attività svolta da Fortuny nel campo della scenografia.

Un invito a perdersi e a ritrovarsi in una dimensione “altra” della foresta, in grado di suscitare pura meraviglia. Una grande allegoria che racchiude un insieme denso e articolato di stati emotivi e riflette vari livelli della dimensione sensoriale e intellettuale dell’individuo, dallo stupore al divertimento, dalla sorpresa al senso di smarrimento e di timore, nei quali ciascuno può ritrovarsi.


Museo Fortuny

San Marco 3958

30124 Venezia

Tel. +39 041 5200995

fortuny.visitmuve.it

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Object & Thing



Coinciding with La Biennale di Venezia 2024, Object & Thing and Rome-based American artist, F Taylor Colantonio present Frutti di Mare, the artist’s inaugural solo exhibition featuring ten new sculptures. Curated by Object & Thing, the collaborative exhibition platform now also representing artists, Colantonio’s debut exhibition in Venice seamlessly intertwines a captivating array of mythologies centered around the theme of water, minerals, surrealism, queer history, poetry and outer space geological phenomena. Celebrating the rich materiality in Venice, each sculpture is meticulously crafted using a blend of materials, including polished cartapesta – a unique material developed by Colantonio and a medium he has honed since 2012 – that evokes the grandeur of Venice's marble-clad facades, terrazzo floors, and Byzantine mosaics, while the verdant patinated bronze pays homage to the city's historic lagoon.
 
Presented in partnership with D. H. office, the exhibition will take place in a former Venetian mirror workshop located in close vicinity to Palazzo Grassi and Venice’s Grand Canal.


 OBJECT & THING
F Taylor Colantonio: Frutti di Mare
15 April - 23 June 2024
D.H. office – San Marco 3208, Salizzada Malipiero, Venice

Re-Stor(y)ing Oceania



PERFORMANCES: THIS IS NOT A DRILL by Latai Taumoepeau at 3pm on both Wednesday 17 April and  Friday 19 April

IN CONVERSATION: Wednesday 17 April, 4pm 'Deep Dive into the Moana', with Taloi Havini and Latai Taumoepeau

Ocean Space brings together new commissions by indigenous pacific artist Latai Taumoepeau and architect Elisapeta Hinemoa Heta to explore how indigenous communities in the Pacific Islands are on the frontline of major environmental concerns. Curated by Taloi Havini, recent winner of the 2024 Artes Mundi Prize, the exhibition spans performance, sculpture, poetry and movement.  The new choral work and participatory installation by Latai Taumoepeau grounded in Tongan philosophies is focused on giving voice to Pacific Islanders in the resistance to deep sea mining; and a new multi-sensory installation, The Body of Wainuiātea, by Wāhine architect Elisapeta Heta which provides a space embodying ritual and ceremony guided by the Māori concept of tikanga from her ancestral lands of Aotearoa, New Zealand.

 TBA21: OCEAN SPACE 
23 March – 13 October 2024
Campo S. Lorenzo, 5069, 30122 Venice