lunedì 20 giugno 2011
Variegata fantasia nei Padiglioni all'Arsenale
Qualcuno, anni fa’, voleva toglierli, i Padiglioni Stranieri, ma per fortuna questa idea non è stata seguita. Ora questa è la vera differenza fra le tante biennali e mostre che hanno scopiazzato lo storico evento italiano, ma che resta così l’unico autentico palcoscenico dell’arte nel mondo.
Fra alti e bassi, le proposte così diverse nei diversi spazi, alla fine portano sempre interessanti proposte, a volte cocenti delusioni e ovvie banalità
La prima sensazione che ho avuto di questa edizione è una percezione storica, un sentire forte fra passato e presente, in cui l’arte torna ad illustrare il tempo umano.
Tanti i lavori che mettono in risalto le urgenze sociali che in questi ultimi mesi si sono accese in diversi angoli del globo.
Dopo anni di tematiche più speculative in questa nuova edizione della Biennale di Venezia si è percepito una intensa attenzione alla storia, al presente, che è tornata centrale, soprattutto come “difficoltà” “disagio” “instabilità”.
Iniziamo dal Padiglione Italia che festeggia i 150 anni dell’Unità d’Italia, realizzando, in un impossibile allestimento presso l’Arsenale, una grande confusa mostra organizzata da un instabile Vittorio Sgarbi.
L’iniziativa, che poteva essere effettivamente una risposta aperta alla ristretta e autoreferenziale realtà dell’”arte contemporanea italiana”, offre per il suo allestimento un’immagine di un paese sicuramente in trasformazione, ma alquanto confuso fra urgenze di ogni tipo espressivo e incapace di fare forza comune, cercando in tal modo di essere propositiva.
Segnale di una nazione che oramai guarda al passato con rancore e rabbia visto il difficile presente che oggi ha costruito e che non sa uscire da una stagnante situazione di vacuo localismo, incupendo in tal modo il suo futuro.
Emergono ben poche opere in questo marasma.
L’accozzaglia generale affossa le cose più belle e quelle brutte, molte, irrimediabilmente saranno memoria di tutti i fruitori dell’evento.
Tristissimo vedere nei giorni di apertura “artisti” arrivare alla spicciolata e cercarsi un buco dove inserire il proprio lavoro senza curarsi del “rapporto estetico/formale” col proprio vicino.
Si poteva fare molto meglio se si fosse operato una vera seleziona qualitativa trovando artisti bravi in ogni categoria che si voleva rappresentare, poteva essere una vera occasione di mettere in risalto la varietà nel mondo dell’arte italiana.
Unico aspetto positivo l’attenzione dei media alle esternazioni di Vittorio Sgarbi che sicuramente sono fonte di un aumento di pubblico. Infatti il giorno dell’apertura, il 4 Giugno, sono stati staccati più di 7.000 ingressi, con un incremento rispetto alla scorsa edizione di + 45 % di visitatori.
Tornando alla gestione e allestimento all’opposto del nostro il Padiglione dei Paesi dell’America Latina, che festeggiano e riflettono sul Bicentenario dell’Indipendenza latinoamericana.
L’esposizione manifesta segnali interessanti di coordinamento e confronto. Particolarmente fruibili i video posti in parallelo e le opere nelle parte centrale che si rimandano per tematica e forma.
Si percepiscono energie stimolanti, riflessioni dure e ben esposte, una bella mostra piena di pensieri sul presente.
Dimostrazione che una selezione di artisti, fatta con un senso e con un coordinamento nell’allestimento, accresce tutto l’evento, anche se il budget e il luogo sono molto più ristretti.
Continuando all’Arsenale vediamo gli altri Padiglioni che sono quello dell’Arabia Saudita curato da Mona Khazindar e Robin Start con un allestimento e opere un poco oscurantista e riduttivo, ma non va molto meglio con gli Emirati Arabi Uniti che presentano un’opera che non mi convince molto fatta da due sorelle, una scrittrice Raja e l’altra artista Shadia Alem.
Grande impatto per il Padiglione dell’Argentina con la monumentale opera di Adrián Villar Rojas, che pare sarà acquistata da un noto collezionista francese.
Il Cile con Fernando Prats realizza un’opera molto melanconica.
Croazia con Antonio G. Laueraka Tomislav Gotovac e BADco, piacevolmente articolato.
Il Padiglione del Sudafrica con Zarina Hashmi, Gigi Scaria, Praneet Soi con The Desire Machine Collective (Sonal Jain, Mriganka Madhukaillya) purtroppo non sono riuscito a vederlo.
Mentre l’India propone una collettiva dal particolare titolo “Tutti sono d’accordo: Sta per esplodere…….” troppo confusa e diversa per forme e stili, ma molto carina l’idea dell’ascensore.
La Turchia ospita il sessantenne Ayse Erkmen con un bel lavoro cromatico.
Concludo il giro nell’Arsenale con il Padiglione della Cina che col titolo Pervasion presenta una serie di opere su cui una nube bianco/grigia di tanto in tanto oscura il tutto, forse involontario rimando al paese che maggiormente oggi domina economicamente il mondo, guidato da una ristretta oligarchia comunista.
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