Interessante notare come Massimiliano Gioni, nato nel 1973, sia il curatore più giovane che la Biennale abbia avuto e come sia interessato, in questa occasione, più al passato che al presente.
Una situazione che molto dovrebbe far pensare, uno spirito che pare condiviso da molti artisti che si affacciano sul mondo dell’arte più attenti a riscoprire il passato che ha sperimentare il futuro, soprattutto quando tecnologico e multimediale. Forse questa convivenza con la tecnologia quotidiana dei tanti device rende più affascinante il vecchio bisogno materico e fisico del gesto naturale di un disegno, il fascino di manipolare la creta o di stendere un colore su una ruvida tela. Azioni datate ma ricche di un phatos storico e consequenziale alla tradizione storica. In un presente sempre più dispersivo ritrovare una riconoscibilità storica, anche solo gestuale, rende più forte il proprio riconoscersi. Riconoscersi che proprio nei tanti nomi proposti è una delle costasti proposte dal curatore. Personaggi che della loro individualità hanno fatto il senso unico, incurante di un consenso globale e uniforme.
Un altro aspetto affascinante è lo slittamento verso una selezione di figure che spesso non sono riconosciute nel ruolo rigoroso di “artisti” ma che hanno agito con una forza più emotiva.
Molta attesa suscita il progetto di Cindy Sherman che anziché esporsi in una ennesima mostra curerà un “raccolta anatomica” con una selezione di opere di trenta artisti legati dal tema della corporalità
L’evento quindi pare più un temporaneo museo, una raccolta di sensazioni che il curatore condivide a stimolo presente. Si percepisce ciò anche con molti degli artisti invitati selezionati su opere più di ricerca che di definizione.
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