“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove a noi appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.
Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia
Lo stato delle cose
Nel maggio del 2015, centoventi anni dopo la sua prima esposizione d’arte, l’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia si svolgerà ancora una volta presso i Giardini, lo spazio storico in cui si tenne la sua prima Esposizione nel 1895. Quando venne inaugurata, i padiglioni nazionali ancora non esistevano. L’unica struttura espositiva permanente esistente era il sepolcrale edificio del Padiglione Centrale, con le sue colonne neoclassiche e la statua della vittoria alata che torreggiava in cima al suo frontone. I padiglioni nazionali sarebbero giunti dodici anni dopo con il Padiglione belga nel 1907, seguito da molti altri negli anni a venire fino a diventare oggi quasi novantacinque. Il fatto che il numero degli edifici espositivi nei Giardini, progettati in diversi stili architettonici, sia arrivato fino a trenta e che i padiglioni in eccesso, quelli cioè che non hanno trovato posto nei Giardini, si siano riversati in diverse aree della città e dell’Arsenale, sta a testimoniare l’indubbio fascino esercitato da questi alquanto anacronistici modelli espositivi dedicati alla rappresentazione nazionale. Accanto ai sempre più numerosi padiglioni nazionali nei Giardini e nell’Arsenale c’è l’esposizione internazionale non nazionale.
Fin dalla sua prima edizione nel 1895 la Biennale di Venezia si è sempre collocata nel punto di confluenza di molti cambiamenti sociopolitici e di radicali fratture storiche nel campo dell’arte, della cultura, della politica, della tecnologia e dell’economia. Fondata nel 1893, l’istituzione della Biennale di Venezia si affacciò sulla scena mondiale in un periodo storico significativo, in un momento in cui le forze della modernità industriale, del capitale, delle tecnologie emergenti, dell’urbanizzazione e dei regimi coloniali stavano ridisegnando la mappa mondiale e stavano riscrivendo le regole della sovranità. Questi cambiamenti sono stati accompagnati da diversi movimenti di massa: dai movimenti operai e quelli delle donne, dai movimenti anticoloniali a quelli per i diritti civili, ecc.
Cento anni dopo i primi colpi sparati nella Prima Guerra Mondiale nel 1914, e 75 anni dopo l’inizio
della Seconda Guerra Mondiale nel 1939, il panorama mondiale appare di nuovo in frantumi e nel
caos, segnato da un violento tumulto, terrorizzato dalla crisi economica, da una confusione virale, dalla politica secessionista e da una catastrofe umanitaria che si consuma nei mari, nei deserti e nelle regioni di confine, mentre immigrati, rifugiati e popoli disperati cercano rifugio in terre apparentemente più ricche e tranquille. Ovunque si volga lo sguardo sembra di scorgere una nuova crisi, un’incertezza e una sempre più profonda instabilità in tutte le regioni del mondo.
Passando in rassegna questi importanti eventi con lo sguardo di chi vive la presente inquietudine che pervade la nostra epoca, ci si sente come convocati dall’Angelus Novus, il dipinto di Paul Klee. Grazie al filosofo e critico culturale Walter Benjamin, che lo acquistò nel 1921, il dipinto ha acquisito una sorta di status di opera premonitrice trascendendo ciò che effettivamente essa rappresenta. Benjamin vide nell’opera di Klee ciò che di fatto non vi era espresso e nemmeno dipinto. Piuttosto egli interpretò l’Angelus Novus in maniera allegorica osservando la figura con un chiaro sguardo storico, mentre davanti a sé un’altra catastrofe si abbatteva sull’Europa in un momento di profonda crisi. Riconducendo il dipinto alla realtà che lo circondava, una realtà in cui il mondo così come lo conosceva veniva demolito proprio davanti ai suoi occhi, Benjamin ci obbliga a rivedere la capacità rappresentativa dell’arte. Per lui la figura ritta e animata dallo sguardo sconvolto che sta al centro della tela è “l’angelo della storia” ai cui piedi si accumulano, sempre più alte, le macerie della distruzione moderna. Questa sua insolita interpretazione rimane un’immagine vivida e questo non tanto per ciò che il dipinto di fatto contiene e rappresenta, quanto per il modo in cui Benjamin ci porta a riflettere come il mondo dell’arte possa stimolarci a vedere più lontano, oltre la prosaica apparenza delle cose.
Le fratture che oggi ci circondano e che abbondano in ogni angolo del panorama mondiale rievocano le macerie evanescenti di precedenti catastrofi accumulatesi ai piedi dell’angelo della storia nell’Angelus Novus. Come fare per afferrare appieno l’inquietudine del nostro tempo, renderla comprensibile, esaminarla e articolarla? I cambiamenti radicali verificatisi nel corso degli ultimi due secoli - dalla modernità industriale a quella post-industriale, dalla modernità tecnologica a quella digitale, dalla migrazione di massa alla mobilità di massa, i disastri ambientali e le guerre genocide, dalla modernità alla post-modernità, il caos e la promessa - hanno prodotto nuovi e affascinanti spunti per artisti, scrittori, cineasti, performer, compositori, musicisti, ecc.
Questa situazione non è oggi meno evidente. Ed è riconoscendo tale condizione che la 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia propone All the World’s Futures, un progetto dedicato a una nuova valutazione della relazione tra l'arte e gli artisti nell’ attuale stato delle cose.
La Mostra: il parlamento delle forme
Al posto di un unico tema onnicomprensivo che racchiuda e incapsuli diverse forme e pratiche in un campo visivo unificato, All the World’s Futures è permeato da uno strato di Filtri sovrapposti. Questi Filtri sono una costellazione di parametri che circoscrivono le molteplici idee che verranno trattate per immaginare e realizzare una diversità di pratiche. La 56. Esposizione della Biennale di Venezia del 2015 utilizzerà come Filtro la traiettoria storica che la Biennale stessa ha percorso durante i suoi 120 anni di vita, un Filtro attraverso il quale riflettere sull’attuale “stato delle cose” e sull’ “apparenza delle cose”. All the World’s Futures trarrà ancora una volta spunto dall’attuale “stato delle cose” per sviluppare il suo progetto denso, frenetico ed esplorativo che verrà collocato in un ambito dialettico di riferimenti e discipline artistiche. La domanda principale posta dall’esposizione è la seguente: in che modo artisti, filosofi, scrittori, compositori, coreografi, cantanti e musicisti, attraverso immagini, oggetti, parole, movimenti, azioni, testi e suoni, possono raccogliere dei pubblici nell’atto di ascoltare, reagire, farsi coinvolgere e parlare, allo scopo di dare un senso agli sconvolgimenti di quest’epoca? Quali materiali simbolici o estetici, quali atti politici o sociali verranno prodotti in questo spazio dialettico di riferimenti per dare forma a un’esposizione che rifiuta di essere confinata nei limiti dei convenzionali modelli espositivi? In All the World’s Futures lo stesso curatore insieme agli artisti, agli attivisti, al pubblico e ai partecipanti di ogni genere saranno i protagonisti centrali nell’aperta orchestrazione di questo progetto.
Attraverso ogni Filtro, sovrapposto l’uno sull’altro in una serie di recensioni, la 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia approfondirà la realtà contemporanea globale come una realtà in costante riallineamento, adattamento, ricalibrazione, mobilità e dalle forme continuo mutamento. Considerato ciò la presentazione di All the World’s Futures ospiterà un Parlamento delle forme la cui orchestrazione e il cui svolgimento episodico avranno una vasta portata globale. Al centro della Mostra c’è la nozione di esposizione come palcoscenico nella quale verranno esplorati progetti storici e antistorici. All’interno di questa struttura gli aspetti della 56. Esposizione d’Arte solleciteranno e privilegeranno nuove proposte e lavori appositamente concepiti dagli artisti, cineasti, coreografi, performer, compositori e scrittori invitati per lavorare individualmente o in collaborazione. Questi progetti, lavori e voci occuperanno, come un’orchestra, gli spazi della Biennale e pre-occuperanno il tempo e il pensiero del pubblico.
I Filtri:
Vitalità: sulla durata epica
Nella ricerca di un linguaggio e di un metodo per la Biennale Arte 2015 abbiamo deciso che la natura dell’esposizione sarà quella di un evento fondamentalmente visivo, corporeo, uditivo e narrativo. Così facendo ci siamo chiesti in che modo un’esposizione della grandezza e della portata della Biennale possa rivolgersi al proprio format rinnovarlo attraverso il potenziale della sua capacità temporale. In questa ricerca il concetto di vitalità e di durata epica serve a due scopi complementari: suggerisce l’idea che All the World’s Futures è una manifestazione, sia temporale sia spaziale, che è incessantemente incompleta, strutturata da una logica dello svolgimento, un programma di eventi che può essere esperito nel punto d’incontro con l’incontro tra “vitalità” ed “esibizione”. Sarà una drammatizzazione dello spazio espositivo come un evento dal vivo in continuo e incessante svolgimento. Così facendo All the World’s Futures proporrà delle opere che esistono già, ma chiederà anche dei contributi che saranno realizzati appositamente ed esclusivamente per questa Mostra.
Il giardino del disordine
Questo Filtro, collocato nei Giardini e nel Padiglione Centrale nonché nelle Corderie, nel Giardino delle Vergini dell’Arsenale e in altri spazi selezionati a Venezia, utilizza lo spazio storico dei Giardini della Biennale come una metafora attraverso la quale esplorare l’attuale “stato delle cose”, vale a dire la pervasiva struttura di disordine che caratterizza la geopolitica, l’ambiente e l’economia a livello globale. Il concetto originale di giardino nasce nell’antica Persia in cui era concepito come un paradiso, uno spazio chiuso fatto di tranquillità e piacere. Nel corso dei millenni il giardino si è trasformato, diventando l’allegoria della ricerca di uno spazio ordinato e puro. In occasione della Biennale Arte 2015, l’esposizione ritornerà su questo antico concetto per esplorare i cambiamenti globali e interpretare i Giardini, con il suo incerto insieme di padiglioni, come il sito emblematico di un mondo disordinato, di conflitti nazionali e di deformazioni territoriali e geopolitiche. Gli artisti sono stati invitati ad elaborare delle proposte che avranno come punto di partenza il conetto di giardino, realizzando nuove sculture, film, performance e installazioni per All the World’s Futures.
Il Capitale: una lettura dal vivo
Oltre al caos e al disordine propri dell’attuale “stato delle cose”, esiste una preoccupazione diffusa che è al centro della nostra epoca e modernità. Tale preoccupazione è la natura del “capitale”, sia nella sua finzione sia nella sua realtà. Il capitale è il grande dramma della nostra epoca. Oggi incombe più qualsiasi altro elemento su ogni sfera dell’esistenza, dalle predazioni dell’economia politica alla rapacità dell’industria finanziaria. Lo sfruttamento della natura attraverso la sua mercificazione sottoforma di risorse naturali, il crescente sistema di disparità e l’indebolimento del contratto sociale hanno di recente imposto il bisogno di un cambiamento. Fin dalla pubblicazione dell’imponente opera di Marx Il Capitale: Critica dell’economia politica nel 1867, la struttura e la natura del capitale ha suscitato l’interesse di filosofi e artisti, ispirando teorici della politica, economisti e sistemi ideologici in tutto il mondo. In All the World’s Futures si percepiranno l’aura, gli effetti, le ripercussioni e gli spettri del Capitale in una delle esplorazioni più ambiziose di questo concetto e di questo termine.
Una parte centrale di questo programma di letture dal vivo è “Das Kapital”, un imponente progetto bibliografico frutto di una meticolosa ricerca, concepito dal direttore artistico nel Padiglione Centrale. Questo programma, che si svolgerà ogni giorno per quasi sette mesi senza soluzione di continuità, si aprirà con una lettura dal vivo dei quattro libri di Das Kapital di Marx e gradualmente si amplierà con recitals di canti di lavoro, libretti, letture di copioni, discussioni, assemblee plenarie e proiezioni di film dedicati a diverse teorie ed esplorazioni del Capitale. Nel corso della Biennale ensemble teatrali, attori, intellettuali, studenti e persone del pubblico saranno invitati a dare un contributo al programma di letture le cui voci inonderanno e pervaderanno le sale circostanti in una grandiosa esposizione di oralità. Un’importante fonte d’ispirazione per questa inusuale performance è rappresentata dalle prime righe del libro di Louis Althusser Leggere il capitale.
“Ovviamente tutti noi abbiamo letto e leggiamo il Capitale. Per quasi un secolo abbiamo potuto leggerlo ogni giorno, in trasparenza, nei drammi e nei sogni della nostra storia, nelle sue dispute e conflitti, nelle sconfitte e nelle vittorie del movimento dei lavoratori che è la nostra unica speranza e il nostro destino. Sin da quando “siamo venuti al mondo”, abbiamo costantemente letto il Capitale negli scritti e nei discorsi di coloro che lo hanno letto per noi, nel bene e nel male, sia essi morti o viventi: Engles, Kautsky, Plekhanov, Lenin, Rosa Luxemburg, Trotsky, Stalin, Gramsci, i leader delle organizzazioni dei lavoratori, i loro sostenitori e oppositori, filosofi, economisti, politici. Ne abbiamo lette delle parti, i “frammenti” che una determinata ipotesi aveva “selezionato” per noi. Abbiamo persino letto più o meno tutti il Libro I, da “le merci” all’“espropriazione degli espropriatori”.
Ma è fondamentale che un giorno il Capitale venga letto alla lettera, che ne venga letto il testo in sé, completo, tutti e quattro i libri, riga dopo riga, ritornare dieci volte ai primi capitoli o agli schemi della semplice riproduzione e della riproduzione su scala allargata, prima di scendere dagli aridi altopiani del Libro II verso la terra promessa del profitto, dell’interesse e della rendita…
È così che abbiamo deciso di leggere i libri del Capitale… E li presentiamo nella loro forma immediata senza apportarvi alterazioni, in modo che vengano riprodotti tutti i rischi e i vantaggi di questa avventura; così che il lettore (e l’ascoltatore) potrà ritrovarvi l’esperienza di una “neonata” lettura; in questo modo lui, sulla scia di questa prima lettura, verrà trascinato a sua volta verso una seconda che ci porterà ancora più lontano”.
Con questa prospettiva, All the World’s Futures, attraverso le sue costellazioni di Filtri scaverà a fondo nello “stato delle cose” e metterà in discussione l’“apparenza delle cose” passando da un’enunciazione gutturale della voce alle manifestazioni visive e fisiche, tra opere d’arte e pubblico.
Okwui Enwezor
#biennalearte2015
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