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mercoledì 29 giugno 2011

Raccogliendo emozioni - Mostre nei musei veneziani



La città di Venezia offre un raro esempio di rete museale articolata in differenti spazi e luoghi con incredibili raccolte d’arte. In occasione degli eventi della Biennale questo ricco patrimonio viene sollecitato da interventi espositivi paralleli che ne accrescono il valore e attivano nuove attenzioni sulle singole raccolte.

La Fondazione dei Musei Civici di Venezia ha coordinato per quest’anno ben 8 mostre, distribuite nei diversi musei della rete.

Nei giorni della Biennale ne ho visitati alcuni. Ho iniziato dall’iniziativa che ha visto la cooperazione fra la Fondazione Axel-Vervoordt e Palazzo Fortuny che ha prodotto in questi ultimi anni una serie di mostre di grande fascino e di eccellente qualità espositiva. Anche in questa occasione si conferma con l’evento “Tra” proponendo un melange culturale / artistico di grande respiro temporale.

Attraversando le diverse stanze di questo meraviglioso edificio lo sguardo è sollecitato da continui stimoli di straordinaria bellezza che vanno da un pezzo di legno intagliato del II millennio A.C. a una scultura di Alberto Giacometti, dal delicato Torso di Buddha proveniente dalla Thailandia al Poupee di Pascale Tayou. Un percorso senza una linearità rigida, ma che, con continui cambiamenti culturali, offre intense emozioni.

A Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano trovano una perfetta ospitalità le sculture di Barry X Ball che sono del tutto integrate con la ricca collezione di opere venete. La qualità del materiale e le scelte espressive delle opere di Barry X Ball sono riccamente partecipi delle sensibilità esposte in questi ambienti. La particolare tecnica di realizzazione, che unisce tecnologie tridimensionali alla tradizione scultorea manuale, sono affascinanti presenze barocche contemporanee.

Julian Shabel presenta nel grande Salone da Ballo del Museo Correr alcuni giganteschi lavori che nel loro stupendo gesto cromatico sono una continuità dei decori floreali dell’edificio. S’incontra poi in una sala neoclassica il ritratto della sua attuale compagna, posto come una presenza viva ed intensa. Il percorso espositivo prosegue poi al piano superiore dove in un susseguirsi di stanze si percorre la storia di questo grande artista contemporaneo, con alcune delle sue opere più note, attraversando diversi media e tecniche, giungendo fino a gli intensi lavori più recenti.

Nel Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume a Palazzo Moncenigo è stata ideato l’ evento dal titolo “Ruth Adler Schnee. A passion for color”, che presenta i meravigliosi tessuti disegnati da Ruth Adler Schnee, artista tedesco-americana approdata a Detroit dopo la fuga dalla Germania nazista, che ha dedicato la sua intera carriera alla ricerca e alla creazione di tessuti dalle molteplici forme, trame, e combinazioni di colori.

Un’altra interessante mostra presso Ca’ Pesaro - Museo di Arte Moderna di Pier Paolo Calzolari articolata nel grande salone d’ingresso e al terzo piano, un’occasione antologica ricca di opere simbolo del noto percorso di questo artista. Presso la sala 10 è anche visibile il progetto video “E’ amore “ di Anita Sieff.

Da un paese all’altro tutto il mondo dell’arte nei Giardini



Ripercorriamoli ora I Giardini con le mie sensazioni, a cui spero di registrare le vostre.

Nelle belle giornate dei primi di Giugno l’atmosfera era particolarmente piacevole e stuzzicante.

Il Padiglione Spagnolo con l’articolato progetto-evento di Dora Garcia suscita interesse anche se il tutto risulta difficile da capire e richiede come altri un tempo che in realtà sfugge, ma soprattutto domande sul fatto che gli artisti non sono sociologi o presunti docenti di populismo.

Accanto il Belgio con Angel Vergara e la curatela di un altro artista, Luc Tuymans, mi delude un poco l’idea del progetto si consuma su una serie di opere che sono presentate da un video che rende tutto molto scolastico.

Segue l’Olanda con una particolare collettiva composta da EventArchitectuur (Herman Verkerk e Paul Kuipers), Yannis Kyriakides, Maureen Mooren, Joke Robaard, Johannes Schwartz e Barbara Visser che producono uno spazio articolato che sa più di architettura che di arte, anche qui tante parole per poca fisicità.

In fronte il Padiglione della Finlandia, progettato da Alvar Aalto nel 1956, con Vesa-Pekka Rannikko che propone una stratificazione elegante di video.

L’Ungheria con l’opera “Crash” dell’artista Hajnal Németh mi piace, il mix di media e di forma è legato da un tema doloroso ma ben gestito.

Attraversando il canale si giunge al Padiglione del Brasile su cui Artur Barrio interviene in modo articolato ma troppo residuale.

Forse quello che più mi ha soddisfatto il Padiglione dell’Austria, con i lavori di Markus Schinwald curioso e ben strutturato labirinto di forme e idee.

La Serbia con “Light and darkness of the symbols” di Todosijevic Dragoljub Raša e troppo statica e cupa.

L’Egitto con Ahmed Basiony è forse il momento più realista e forte di tutti i paesi partecipanti, vita vera che purtroppo si racconta nel dolore della scomparsa.

La Polonia con il richiestissimo Yael Bartana e il suo progetto “… and Europe will be stunned” non mi soddisfa particolarmente, ovvio e fintamente enfatico.

Il Padiglione della Romania con Performing History di Ion Grigorescu, Anetta Mona Chisa, Lucia Tkacova risulta dopo quello polacco ancor più banale.

Problema code ...

Qui spesso per poter accedere si doveva fare coda, situazione che si ripeteva anche per il padiglioni Usa, Inghilterra, Giappone e a volte per quello della Germania.

Questo un annoso capitolo che prima o poi si spera di affrontare in modo intelligente.

Non si può pensare di far visitare un evento con code che durano anche oltre l’ora.

Forse sarebbe più sensato ampliare i giorni della vernice, da tre ad almeno a quattro, visto che gli eventi sono più che raddoppiati, come anche gli accrediti. Si parla di oltre 6.000 ingressi al giorno nei giorni di vernissage.

Tanto più se come si è vociferato i collezionisti per poter entrare hanno pagato quote singole di 200 euro.

Sul Padiglione Venezia con le barche di Fabrizio Plessi si conferma che il nostro paese parla sempre delle stesse vecchie trite cose, senza dare spazio al futuro. Questo artista da anni presente in qualche modo alla Biennale propone opere sempre uguali, belle ma pur sempre noiose.

Il Padiglione Greco con l’intervento minimalista di una piscina ideata da Diohandi è troppo assente.

Tornando nell’area principale si trova il Padiglione d’Israele con i lavori di Sigalit Landau, che sono presentati in modo confuso. Va un poco meglio al Padiglione Usa col duo Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla che progettano una serie di opere legate dal tema della gloria, ma sicuramente già il bancomat/organo ha avuto successo e per un ipotizzato 1,000,000 di euro pare già aver trovato un acquirente.

Uruguay con gli artisti Alejandro Cesarco, Magela Ferrero, ennesimo caso di eccessiva rarefazione dell’opere.

Repubblica Ceca e dalla Slovenia che offre l’intervento di Dominik Lang che non mi piace per nulla, in quanto molto brutto e poco interessante, come il Padiglione dell’Australia con una rarefazione al limite del banale di Hany Armanious, molto più carina la sua borsa.

Nel Padiglione francese è ospitato Christian Boltanski che presenta un articolato progetto dal titolo “Chance” che tratta di destino e vita, ma forse con questi troppo pesanti e poco lirici.

L’Inghilterra enfatizza un mediocre lavoro di Mike Nelson con un intervento troppo simile a quello di Gregor Schneider per la Germania del 2001 con cui vinse il Leone d’oro.

Dignitoso il Padiglione del Canada con Steven Shearer. Articolato ma troppo statico il Padiglione della Germania con un ricordo a Christoph Schlingensief,

Meglio quello del Giappone con le animazioni video di Tabaimo in uno spazio per studiato. Un poco confuso ma interessante il Padiglione della Corea che sparge opere di Lee Yongbaek. Potenziale non ben competato per il Padiglione della Russia con l’evento “Empty Zones” Andrei Monastyrski e the ‘Collective Actions’ Group (Nikita Alexeev, Elena Elagina, Georgy Kizevalter, Igor Makarevich, Andrei Monastyrski, Nikolai Panitkov, Sergei Romashko, Sabine Hänsgen). Frammentato ma sufficiente il Padiglione del Venezuela, Francisco Bassim, Clemencia Labin, Yoshi. Ovviamente confuso e stratificato

Padiglione della Svizzera che ha proposto l’estetica critica di un Thomas Hirschhorn sempre più attuale.

Il grande Padiglione della Svezia con Fia Backström e Andreas Eriksson risulta troppo vuoto.

Nel Padiglione della Danimarca una grande varietà di espressioni alquanto ironiche con gli artisti Agency, Ayreen Anastas e Rene Gabri, Robert Crumb, Zhang Dali, Stelios Faitakis, FOS, Sharon Hayes, Han Hoogerbrugge, Mikhail Karikis, Thomas Kilpper, Runo Lagomarsino, Tala Madani, Wendelien van Oldenborgh, Lilibeth Cuenca Rasmussen, Taryn Simon, Jan Švankmajer, Johannes af Tavasheden, Tilman Wendland.

Un mondo di dubbi fra Palazzo Grassi e la Punta della Dogana




La Fondazione François Pinault a Venezia gestisce due stupendi spazi; un antico e storico edifico affacciato sul Canal Grande, Palazzo Grassi, e da due anni la stupenda Punta della Dogana, che fece ristrutturare in modo fantastico, coinvolgendo l’architetto Tadao Ando, responsabile anche del rinnovamento dell’antico Palazzo a campo San Samuele.

Le prestigiosi sedi presentano due eventi complementari; un’elegante mostra fra presente e passato alla Punta della Dogana e una più attenta alle diversità delle forme espressive diffuse nel globo odierno a Palazzo Grassi.

Iniziamo a scrivere del primo che nei grandi e ariosi spazi, nell’estremità che si affaccia sulla laguna, offre tantissimi lavori raccolti sotto il titolo "Elogio del Dubbio. Eloge du Doute. In Praie of Doubt". La selezione delle opere è stata fatta dalla curatrice della Fondazione, Caroline Bourgeois, che ha ideato un percorso di emozioni in bilico fra certezze e turbamenti, bellezza e instabilità. Così sono raccolte oltre sessanta opere, metà delle quali mai esposte al pubblico, realizzate in questi ultimi decenni da noti artisti internazionali, alcuni già presenti con altre opere nella precedente esposizione.

Nel suo complesso una mostra interessante con alcuni pezzi veramente suggestivi come le istallazioni di Chen Zhen e il fragile "Well and Truly" di Roni Horn, ma molti altri sono i pezzi che possono condividere questo leggero filo dell'inadeguatezza della condizione umana, nel nostro difficile quotidiano.

Il dubbio è una forza limitatrice, ma anche propositrice di nuove soluzioni e cambiamenti, in tal modo le tante opere si muovono fra critica e percezione.

Alcune tentano anche ipotetiche trasformazioni come lo stupendo abito da sposa di David Hammons.

Altri, come i lavori di Dan Flavin, Subodh Gupta, Thomas Houseago, Donald Judd, Edward Kienholz, Julie Mehretu (con un'opera site specific), Bruce Nauman, Sigmar Polke, Elaine Sturtevant sono intensi momenti nel dare fisicità al nostro sperare e sopravvivere in questi giorni fragili e incerti.

Realizzato appositamente per questa mostra “ Notes pour une costruction“ di Tatiana Trouvé, raggiunge l’obiettivo perfetto al titolo, condividendo con le assenze dei suoi lavori, tracciati dal materiale di sostegno, un sottile ed impalpabile disagio esistenziale, una complessa e rarefatta paura nell’essere coinvolto in questo flusso di vita presente.

Altro registro a Palazzo Grassi, con l’evento "Il Mondo vi appartiene" che mette in esposizione una realtà artistica sulle attuali trasformazioni geografiche sociali.

Allestita sempre col medesimo rigore e professionalità, che in certi casi rischia di rendere troppo algido la percezione. La mostra è ben articolata fra pezzi di grande rilievo e notorietà con opere più nuove e meno conosciute, forse quelle più interessanti.

L’inizio è subito, nel grande ingresso, con due opere di grandi dimensioni la calda e morbida istallazione di Joana Vasconcelos e il noto Balloon Dog (Magenta) di Jeff Koons.

Si prosegue poi nei diversi piani con piacevoli incontri, alcuni già visti proprio a Venezia come le opere di Francesco Vezzoli, altre nuove e affascinanti, come la stupenda istallazione di Loris Gréaud, con una foresta ancestrale e misteriosa nel magnifico salone del primo piano. Conquistano anche lavori più “classici” come “Respirare l’Ombra – foglie di Tè” di Giuseppe Penone. Mi è piaciuto molto anche l’intervento di Farhad Moshiri, con “Life is Beautiful”, che usando centinaia di coltelli, scrive il titolo dell’opera sull’immacolato muro.

Eventi paralleli alla Biennale





Eventi veneziani durante la Biennale





Eventi veneziani





Le Festin de Chun-Te presso la Scaletta dei Battioro




Passeggiando per eventi veneziani