La 57essima Biennale di Venezia delle Arti Visive riflette assai il complesso momento storico che stiamo attraversando. Le trasformazioni contemporanee sono quasi sempre parte delle opere proposte nei tantissimi padiglioni e negli eventi collaterali. Raramente sono intenzioni luminose. Paure, insicurezze, difficoltà sono momenti che ritornano alternati da dubbi, visioni e incertezze.
Un tentativo di ottimismo viene proprio dal grande progetto curatoriale di Christine Macel. Nell'Arsenale è abbastanza ben articolato molto più debole e ripetitivo nel Padiglione delle Esposizioni dei Giardini.
Il progetto della curatrice francese in parte mantiene le promesse iniziali, che si disperdono soprattutto nelle sezioni delle "gioie e delle paure".
Nelle sue articolate esposizioni questa nuova edizione delle Biennale non ha grandi opere ma tantissimi stimoli e analisi che tentano di condividere le preoccupazioni che gli artisti stessi conoscono, spesso frequentano a volte subiscono.
Fra i più interessanti ho trovato la Germania, che giustamente ha vinto il Leone d'Oro, Israele, il Brasile, la Gran Bretagna, Argentina, Cile, Cuba e la Grecia.
Il padiglione Italia si risolve in parte, molto interessante il progetto di Roberto Cuoghi ma troppo brutto il tunnel di plastica, sminuisce tutto il resto. Possente per struttura ma debole per visione l’opera di Giorgio Andreotta Calò e troppo fragile il video della Adelita Husni-Bey.
Fra gli eventi collaterali segnalo sicuramente la mostra su P. Guston alle Gallerie dell’Accademia, forse l’unica molto ben strutturata, la Fondazione Prada, la nuova Fondazione V-A-C, Palazzo Fortuny con l’assodato allestimento della Fondazione Axel Vervoordt e Future Generation Art Prize presso Palazzo Contarini Polignac.
Concludiamo con Damien Hirst che ha realizzato un grande parco di divertimenti senza giostre, negli spazi della Fondazione Pinault, per cui alquanto stupefacente ma assai noioso.
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