English below
“Ogni cosa della terra è destinata a ritornare alla terra, è solo questione di tempo.
Quando penso che questo principio vale anche per me e per i miei quadri, tutto mi sembra futile.
Ma per ogni giorno che vivrò, nel lento consumarsi della vita, lascerò un segno indelebile del mio passaggio, ed è così che avrò la spinta per restare vivo.”
— Yun Hyong-keun, 1990
In occasione della 58a edizione della Biennale di Venezia, il National Museum of Modern and Contemporary Art della Corea (MMCA) e i Musei Civici di Venezia (MUVE) presentano a Palazzo Fortuny un’importante retrospettiva dedicata all’artista coreano Yun Hyong-keun (1928 – 2007).
Considerato uno degli artisti coreani più significativi del Novecento, Yun aderì al Dansaekhwa, un movimento pittorico monocromatico che si impose in Corea tra gli anni Sessanta e Settanta.
Sull’onda del grande successo di critica ottenuto presso l’MMCA di Seoul, la mostra di Venezia sarà la prima retrospettiva internazionale dedicata all’artista dopo la sua morte, avvenuta nel 2007. La vita e le opere di Yun saranno protagoniste indiscusse del progetto, basato su 55 capolavori che coprono l’intero arco della sua carriera. Tra le varie attrattive ci sarà anche una fedele riproduzione dell’atelier di Yun, con opere realmente presenti nello studio originale a firma di altri artisti (Kim Whanki, Jeon Roe-jin e Choi Jongtae). Pur riconoscendo il ruolo di Yun nello sviluppo del Dansaekhwa, la retrospettiva punta a esaminarne la produzione in maniera slegata, con una prospettiva inedita.
Curata da Kim Inhye dell’MMCA, la mostra è ricca di tele scure e toccanti che colgono in maniera magistrale il clima dell’epoca, rappresentando appieno la psiche dilaniata della popolazione coreana: una condizione evidenziata soprattutto dalle opere struggenti dipinte furiosamente in seguito al massacro di Gwangju (maggio 1980). Un tratto distintivo del progetto sono le numerose testimonianze personali, tra cui disegni giovanili, una vasta raccolta fotografica e pagine di brutale onestà tratte dai diari privati di Yun.
Basandosi sui canoni estetici tipici della cultura coreana, Yun mescola individualità e
partecipazione agli eventi del tempo con grazia e semplicità, senza mai perdere quella
ricercatezza moderna e raffinata che estende la propria influenza al di là delle frontiere,
imponendosi in tutto il mondo. Il suo approccio è in perfetta sintonia con il DNA di Venezia, città “sospesa tra acqua e cielo”, dove il confine sempre incerto tra terra e mare plasma in continuazione i profili urbani. Un tema che sembra trovare riscontro nel metodo pittorico di Yun: le sue pennellate, dense e decise, si affiancano e si sovrappongono sulla tela, creando strati successivi in cui il colore fuoriesce dai contorni delle forme solide.
A dodici anni dalla sua scomparsa, la mostra esplora la vita e la produzione artistica di Yun in un’ottica inedita, attraverso materiali e reperti di varia natura che evidenziano dettagli e
prospettive ancora poco battuti. Noto soprattutto per l’adesione al movimento coreano
Dansaekhwa, Yun Hyong-keun viene finalmente esaminato in un contesto più ampio, alla luce di un raffronto efficace con la storia dell’arte internazionale.
A margine della mostra i visitatori potranno acquistare il catalogo pubblicato da Hatje Cantz,
disponibile in inglese e in italiano.
Yun Hyong-keun
Nato nel 1928 a Cheongju, nella provincia del Nord Chungcheong, Yun Hyong-keun ha
attraversato uno dei periodi più travagliati della storia coreana, subendo le conseguenze
traumatiche del dominio giapponese, della Guerra di Corea e della dittatura post-bellica. La sua odissea iniziò nel 1947, poco dopo l’iscrizione alla Seoul National University (SNU), quando venne arrestato ed espulso per aver partecipato alle proteste studentesche contro le ingerenze dell’esercito americano nella gestione dell’ateneo. Nel 1950, allo scoppio della Guerra di Corea, il governo sudcoreano cominciò ad arrestare e giustiziare i cosiddetti “dissidenti” e gli avversari politici inseriti nella lista nera (spesso per motivi futili o totalmente inventati) nell’ambito della “Lega Bodo” (nota anche come “Lega per la riabilitazione e la guida nazionale”). A causa del precedente arresto presso la SNU, Yun fu imprigionato e condannato alla fucilazione, ma all’ultimo momento riuscì miracolosamente a scappare.
Dopo aver visto la morte in faccia, Yun si ritrovò intrappolato in una Seoul occupata, dove fu
costretto a lavorare per l’esercito nordcoreano. Quando questa “collaborazione” venne allo
scoperto, nel 1956, Yun rimase per sei mesi nel carcere di Seodaemun. Nel 1973, quando Yun era docente d’arte presso la Sookmyung Girls’ High School, la scuola ammise una studentessa che non aveva i requisiti necessari, ma che era legata al capo dell’agenzia di intelligence della Corea del Sud, la maggiore potenza dell’epoca. Yun criticò aspramente questa condotta, pagandone le conseguenze con l’arresto e la reclusione: l’accusa era quella di aver violato le leggi anticomuniste.
In totale, Yun finì in carcere per ben quattro volte – sfiorando anche la morte – per il semplice fatto di aver manifestato il proprio pensiero. Si dedicò totalmente all’arte solo una volta sopravvissuto a queste traumatiche vicende, nel 1973, all’età di 45 anni.
Dandosi alla pittura, Yun creò da subito gli stilemi inconfondibili del suo mondo artistico, da lui definito “la porta del cielo e della terra”. Nell’imprescindibile serie di opere avviata negli anni Settanta, Yun utilizzò un grande pennello per applicare densi blocchi di pittura nera su tele grezze in cotone o lino. In realtà la pittura non era propriamente nera, poiché consisteva di miscele leggermente differenti composte da due colori diversi: il blu (che simboleggia il cielo) e il terra d’ombra (che simboleggia la terra). Le sue opere sono minimaliste, genuine e organiche, dal gesto artistico al risultato finale. Osservandole, lo spettatore è investito da stati d’animo differenti: la sensazione è quella di contemplare un albero antico che ha resistito alle devastazioni climatiche, le travi di una tipica casa coreana, una zolla di terra che trasuda fertilità. Con tele apparentemente semplici, Yun è riuscito a cogliere i valori umili, accoglienti e ben radicati che caratterizzano l’estetica coreana, trasferendoli nel linguaggio contemporaneo dell’arte internazionale.
Yun ottenne i primi riscontri in Giappone negli anni Settanta, quando la Muramatsu Gallery (1976) e la Tokyo Gallery (1978) lo invitarono in occasione di alcune mostre personali. Negli anni Novanta, quando il governo sudcoreano iniziò ad “aprirsi” al mondo, le opere di Yun
cominciarono a circolare anche in Europa e negli Stati Uniti. La fisicità intrinseca dei suoi dipinti colpì artisti del calibro di Donald Judd, che nel 1993 e 1994 invitò Yun a esporre nella sua casastudio di Spring Street, a New York, e a Marfa, in Texas (Chinati Foundation).
Da allora la sua produzione è stata oggetto di mostre personali presso istituzioni mondiali di
spicco, come la Stiftung für Konkrete Kunst di Reutlingen, in Germania (1997); il Musée d’Art moderne et contemporain de Strasbourg (2002); e l’Art Sonje Museum di Gyeongju, in Corea (2002). Tra le gallerie che negli ultimi anni hanno ospitato personali di Yun si annoverano: Simon Lee, Londra (2018), David Zwirner, New York (2017), Axel Vervoordt Gallery, Anversa (2016), Blum& Poe, New York (2015), PKM Gallery, Seoul (2015). Inoltre le opere di Yun sono state incluse in recenti mostre collettive presso il National Museum of Modern and Contemporary Art di Seoul (2015), il Gyeonggi Museum of Modern Art in Corea (2013) e il Daegu Art Museum di Daegu in Corea (2011). Non mancano le apparizioni alla Biennale di San Paolo (1969 e 1975), alla Biennale di Venezia (1995) e alla Biennale di Gwangju (2000).
Le opere di Yun possono essere ammirate nelle collezioni permanenti di istituzioni internazionali, come la Chinati Foundation di Marfa, in Texas; il Fukuoka Art Museum a Fukuoka; il Leeum, Samsung Museum of Art di Seoul; l’M+ Museum di Hong Kong; il National Museum of Modern and Contemporary Art della Corea; la Tate Modern di Londra; l’Art Institute of Chicago, Chicago; e infine il Glenstone di Potomac.
Dansaekhwa
Sviluppatosi negli anni Sessanta, il movimento Dansaekhwa raccoglieva un gruppo di artisti
interessati a esplorare le proprietà fisiche della pittura, mettendo in risalto tecniche e processi. La carenza di materiali provocata dalla Guerra di Corea (1950-1953) e il relativo isolamento della nazione rispetto alle correnti internazionali spinsero gli artisti a creare regole e strutture proprie in riferimento all’astrazione.
Kim Inhye
Nata nel 1974, Kim Inhye è curatrice dell’MMCA (National Museum of Modern and Contemporary Art della Corea).
Dopo la laurea in Storia dell’Arte presso la Seoul National University, ha conseguito il dottorato con una tesi su Lu Xun (1881-1936) intitolata Woodcut Movement: Between Art and Politics (“Le incisioni su legno: un movimento a metà tra arte e politica”). Dal 2002 collabora con il National Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA) della Corea, in veste di curatrice o cocuratrice di varie mostre. Tra i progetti che l’hanno vista coinvolta figurano Cubism in Asia: Unbounded Dialogues (2004-2005, in collaborazione con la Japan Foundation, il National Museum of Modern Art di Tokyo e il Singapore Art Museum), Realism in Asian Art (2009-2010, in collaborazione con la National Gallery di Singapore), Tell Me Tell Me: Australian and Korean Art 1976-2011 (2011-2012, in collaborazione con il Museum of Contemporary Art di Sydney) e Deoksugung Project (2012). A seguito di approfondite ricerche, ha inoltre curato numerose retrospettive dedicate ad artisti coreani moderni, quali Park Hyunki (2015), Yoo Youngkuk (2016) e Yun Hyong-keun (2018). La sua specialità è la storia dell’arte coreana moderna nel contesto dello sviluppo artistico asiatico.
MMCA
Dal 1969, il National Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA) della Corea si è imposto come una delle maggiori istituzioni artistiche del Paese, lasciando un segno profondo nella storia dell’arte coreana novecentesca. Attraverso un modus operandi distribuito su quattro location – prima Gwacheon nel 1986, poi Deoksugung nel 1998, Seoul nel 2013 e Cheongju nel 2018 – l’MMCA contribuisce attivamente allo sviluppo dell’arte e della cultura in Corea. Oggi sono oltre 2,4 milioni le persone che ogni anno visitano le quattro sedi del museo, dove possono ammirare collezioni permanenti – con opere selezionate tra gli oltre 8.000 pezzi di proprietà del museo – e mostre speciali che spaziano dall’arte coreana a quella internazionale.
Facebook, Instagram, Twitter, Youtube: @mmcakorea
www.mmca.go.kr/eng
Palazzo Fortuny
Costruito per volere della famiglia Pesaro, questo enorme palazzo gotico in Campo San Beneto fu trasformato da Mariano Fortuny in uno spazio a sua immagine e somiglianza, a metà tra studio fotografico, atelier pittorico, laboratorio per la costruzione di scenografie e fabbrica di stoffe. Stanze e strutture si presentano ancora nella veste voluta da Fortuny e ospitano arazzi e collezioni originariamente appartenenti all’eclettico artista. Il contesto professionale di Mariano Fortuny riecheggia in una serie di preziosi arazzi e dipinti, ma anche nelle celebri lampade concepite come luci di scena: oggetti che testimoniano l’ispirazione e il talento poliedrico dell’artista, sottolineandone la formidabile presenza nel panorama intellettuale e artistico a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Nel 1956 il palazzo fu donato al Comune di Venezia da Henriette, la vedova di Fortuny. Le
collezioni del museo vantano oggetti e materiali estremamente variegati che riflettono i diversi campi esplorati dall’artista, articolandosi in categorie ben precise: dipinti, lampade, fotografie, tessuti e capi di alta moda. www.fortuny.visitmuve.it
English
On the occasion of the 58th edition of the Venice Art Biennale, a major retrospective of Korean artist Yun Hyong-keun (1928 – 2007) will be presented at Palazzo Fortuny by the MMCA (National Museum of Modern and Contemporary Art, Korea) and MUVE (Civic Museums of Venice). One of the most significant Korean artists of the twentieth century, Yun became associated with the influential Dansaekhwa movement: a monochromatic style of painting that appeared in Korea in the 1960s and 70s.
The exhibition will be the first international retrospective show of the artist since his death in 2007 and follows a critically-acclaimed exhibition of his work at MMCA Seoul. The show will focus on Yun’s extraordinary life and work and will present 55 of Yun’s works that span his entire career. One of the highlights of the exhibition will be a meticulous reproduction of Yun’s atelier which will include outstanding works by other artists (Kim Whanki, Jeon Roe-jin and Choi Jongtae), which Yun had in his studio. While recognising his role in the development ofDansaekhwa, this retrospective aims to examine Yun's work in its own right and from a new perspective.
Curated by Kim Inhye, from the MMCA, this exhibition is filled with dark and poignant paintings that magnificently capture the shattered national psyche of the time, highlighted by the heart-breaking works that Yun furiously painted in the wake of the Gwangju Massacre (May 1980). Most notably, the displays feature a wealth of personal materials, including early drawings, a large archive of photos, and strikingly honest excerpts from Yun’s private journals.
Based on traditional elements of Korean beauty and aesthetics, Yun’s canvasses simply and gracefully intertwine individuality and contemporary relevance, never losing the sense of refined modern sophistication which extends its influence across borders and into the rest of the world. His approach is particularly attuned to the nature of Venice: a city “suspended between water and sky”, where the always uncertain boundary between land and water determines the shape of the city. Similarly, this theme is fundamental in Yun’s approach to the canvas: his dense and firm brushstrokes are juxtaposed and overlaid with the pigment that bleeds out from the margins of the solid forms.
Twelve years after his death, this exhibition explores Yun’s life and art with unprecedented range and depth – through diverse materials and displays – bringing to life many details and perspectives that have not yet received adequate attention. Yun Hyong-keun, who has thus far been known primarily within the context of the Dansaekhwa movement in Korea, will be re-explored within the wider context of an international art history.
To coincide with the exhibition there will be a printed catalogue available for purchase in English and Italian, published by Hatje Cantz.
About the artist
Born in 1928 in Cheongju, North Chungcheong Province, Yun Hyong-keun lived through one of the most traumatic periods of Korean history, suffering great misfortune related to Japanese colonial rule, the Korean War, and the post-war dictatorship. Yun’s hardships began in 1947, shortly after he entered Seoul National University (SNU), when he was arrested and expelled for joining the campus-wide protests against the US Army Military Government’s role in establishing the school. Then in 1950, just after the outbreak of the Korean War, the South Korean government began arresting and executing so-called “dissenters” and political opponents who had been blacklisted (often for trivial or fabricated reasons) as part of the “Bodo League” (or “National Rehabilitation and Guidance League”). Because of his prior arrest at SNU, Yun was detained and set to be executed by a firing squad, before he miraculously escaped with his life at the last moment.
After surviving this brush with death, he found himself trapped in occupied Seoul where he was forced to work for the North Korean army. When this “collaboration” was discovered in 1956, Yun was incarcerated for six months in Seodaemun Prison. In 1973, Yun was teaching art at Sookmyung Girls’ High School, when the school granted admission to an unqualified student with connections to the head of the Korean Central Intelligence Agency, the highest power of the time. Yun criticised this unethical practice, which resulted in another arrest and imprisonment for violating anti-communist laws.
Yun was incarcerated four times and was once faced with near-certain death, simply for standing up for his beliefs. Only after surviving these harrowing incidents did Yun fully commit himself to making art, in 1973 when he was 45 years old.
From the moment he dedicated himself to painting, Yun clearly established his own distinct artistic world which he called the “gate of heaven and earth”. In the quintessential series of works that he began in the 1970s, Yun used a wide brush to apply thick blocks of black paint to canvasses of plain cotton or linen. The paint was not actually black but made up of slightly different mixtures of the same two colours: blue (representing “heaven”) and umber (representing “earth”). From their production method to their final appearance, these paintings are simple, genuine, and organic. Gazing into them, viewers are bombarded with different sensations, like looking at an ancient tree that has withstood the ravages of weather, or the rafters of a Korean traditional house, or a patch of soil that is fragrant with fertility. With these seemingly offhand works, Yun succeeded in translating the humble, comfortable, and solid values of Korean traditional aesthetics into the lexicon of international contemporary art.
The artist’s work began to be recognised first in Japan in 1970s when Muramatsu Gallery (1976) and Tokyo Gallery (1978) invited him for his solo show. And when the South Korean government started to ‘open’ the country to the world in the 1990s, Yun’s works started to be introduced to Europe and the U.S. The inherent physicality of his works impressed artists such as Donald Judd, who invited Yun to exhibit at his spaces on Spring Street in New York and in Marfa, Texas (Chinati Foundation) in 1993 and 1994.
Since then, his work has been the subject of solo exhibitions at prominent institutions worldwide, including Stiftung für Konkrete Kunst, Reutlingen, Germany (1997); Musée d’Art moderne et contemporain de Strasbourg (2002); and Art Sonje Museum, Gyeongju, Korea (2002). Among recent gallery solo shows: Simon Lee, London (2018), David Zwirner, New York (2017), Axel Vervoordt Gallery, Antwerp (2016), Blum & Poe, New York (2015), PKM Gallery, Seoul (2015). He has participated in recent group exhibitions held at National Museum of Modern and Contemporary Art, Seoul (2015); Gyeonggi Museum of Modern Art, Korea (2013); and Daegu Art Museum, Daegu, Korea (2011). His work was included in the São Paulo Biennale in 1969 and 1975; the 46th Venice Biennale in 1995; and the Gwangju Biennale in 2000.
Work by the artist is represented in permanent collections internationally, including the Chinati Foundation, Marfa, Texas; Fukuoka Art Museum, Fukuoka; Leeum, Samsung Museum of Art, Seoul; M+ Museum, Hong Kong; National Museum of Modern and Contemporary Art, Korea, Tate Modern, London; Art Institute of Chicago, Chicago and Glenstone, Potomac.
About Dansaekhwa
The movement experimented with the physical properties of painting and prioritised technique and process in the 1960s. The scarcity of materials following the Korean War (1950-1953) and the country’s relative isolation from the international art world led the artists to construct their own sets of rules and structures in relation to abstraction.
About Kim Inhye (b.1974)
Curator, MMCA (National Museum of Modern and Contemporary Art, Korea)
She graduated from the Department of Art History at Seoul National University, and received her PhD degree with the thesis on Lu Xun’s (魯迅, 1881-1936) Woodcut Movement: Between Art and Politics. Since 2002 she has been working for the National Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA) Korea, curating or co-curating various exhibitions like Cubism in Asia: Unbounded Dialogues (2004-2005, co-organised with the Japan Foundation, National Museum of Modern Art Tokyo, and Singapore Art Museum), Realism in Asian Art (2009-2010, co-organised with National Gallery Singapore), Tell Me Tell Me: Australian and Korean Art 1976-2011 (2011-2012, co-organised with Museum of Contemporary Art Sydney) andDeoksugung Project (2012). She also curated many research-based retrospective exhibitions of Korean modern artists such as Park Hyunki (2015), Yoo Youngkuk (2016) and Yun Hyong-keun (2018). Her speciality is the Korean modern art history in context of Asian art development.
MMCA
Since 1969, the National Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA), Korea has established itself as one of the country’s leading art institutions, making its mark on the history of Korean 20th century art. Through an operating system that has developed among the museum’s four venues, beginning with Gwacheon in 1986, then Deoksugung in 1998, Seoul in 2013, and Cheongju in 2018, MMCA has actively contributed to the development of art and culture in Korea. Now more than 2.4 million people visit MMCA’s four venues every year, enjoying permanent collection exhibitions selected from more than 8,000 pieces of museum’s collection, and various special exhibitions which theme ranges from Korean to international art.
Facebook, Instagram, Twitter, Youtube: @mmcakorea #YHKFortuny
Fortuny Museum
Once owned by the Pesaro family, this large Gothic palazzo in Campo San Beneto was transformed by Mariano Fortuny into his own atelier of photography, stage-design, textile-design and painting. The building retains the rooms and structures as they were created by Fortuny, as well as providing a home to his tapestries and collections. The working environment of Mariano Fortuny is reflected through a selection of precious wall-hangings, paintings, and the famous lamps he designed for stage lighting – all objects that testify to his inspiration and still give count of Fortuny’s eclectic work and his formidable presence on the intellectual and artistic scene at the turn of the nineteenth century.
The Fortuny Museum was donated to the city in 1956 by Henriette, Mariano's widow. The collections within the museum comprise an extensive number of pieces and materials which reflect the various fields investigated in the artist’s work. These are organised under specific headings: painting, light, photography, textiles and grand garments. www.fortuny.visitmuve.it
Representing Galleries
PKM Gallery, (Seoul) - Representative of the Estate of Yun Hyong-keun
Blum & Poe (LA, New York, Tokyo)
Axel Vervoordt Gallery (Antwerp, Hong Kong)
Simon Lee Gallery (London, New York, Hong Kong)
David Zwirner Gallery (New York, London, Hong Kong)
#YHKFortuny
#YHKFortuny
Nessun commento:
Posta un commento