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domenica 31 marzo 2019

News dal Padiglione Italia - Né altra né questa: la sfida al labirinto





Nei giorni scorsi al Mibact a Roma è stato presentato il Padiglione Italia 2019 della Biennale di Venezia, erano presenti il Ministro Bonisoli e  Milovan Farronato, curatore del padiglione che proporrà le opere di Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro.

Il progetto ha delle basi molto interessanti sviluppato come un labirinto che, con due ingressi, avvierà possibili incontri, senza priorità, liberi e casuali, come un gioco di tarocchi che ogni volta può mutare storie e significati, cambiando la casualità delle carte scelte.

Il Ministero per i beni e le attività culturali investirà a 600mila euro per l'intero progetto a cui si affiancano, con 700mila euro, un gruppo di sponsor e collezionisti privati (Main .Sponsor: Gucci, FPT Industrial, Sponsor Tecnici: Gemmo, C&C-Milano, Select Aperitivo)

Via le premesse ci sono e fra due mesi si vedrà se saranno confermate.

  

CS

11 maggio – 24 novembre 2019

Roma, 27 marzo 2019 - Il progetto espositivo del Padiglione Italia alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia (11 maggio – 24 novembre 2019) è stato presentato a Roma nella sede del MiBAC dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli con il Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, il Direttore Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane e Commissario del Padiglione Italia Federica Galloni, il Curatore Milovan Farronato.

Né altra Né questa: La sfida al Labirinto è il titolo della mostra, a cura di Milovan Farronato, a cui partecipano, con lavori inediti e opere storiche, tre artisti italiani: Enrico David (Ancona, 1966), Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017) e Liliana Moro (Milano, 1961).

Spiega Milovan Farronato: “Venezia è un labirinto che nei secoli ha affascinato e ispirato l’immaginazione di tanti creativi, tra cui Jorge Luis Borges e Italo Calvino, i due più grandi labirintologi contemporanei a detta del matematico Pierre Rosenstiehl. Venezia, indiscusso centro cartografico del Rinascimento, viene descritta da Calvino come un luogo in cui le carte geografiche sono sempre da rifare dato che i limiti tra terra e acqua cambiano continuamente, rendendo gli spazi di questa città dominati da incertezza e variabilità. È in questo contesto dal carattere imprevedibile che emerge Né altra Né questa, una mostra in cui le opere esposte, in stretto dialogo tra di loro e con l’allestimento, generano continuamente nuovi percorsi e nuove interpretazioni, ramificati come un micelio.”

“La creatività italiana conferma la sua importanza nel panorama internazionale con il progetto del Padiglione Italia alla prossima Biennale Arte - dichiara il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli - che coniuga la novità della visione del curatore con la bravura degli artisti e la qualità della ricerca. L’Italia è orgogliosa del proprio passato, ma sa interpretare lo spirito dei tempi con la sperimentazione e la valorizzazione dei talenti dell’arte contemporanea”.

“Il lavoro della Direzione Generale - afferma il Direttore Generale e Commissario del Padiglione Italia Federica Galloni - è orientato alla valorizzazione e alla promozione dell’arte e dell’architettura contemporanee, in linea con quanto accade in Europa. La cultura e la creatività svolgono un ruolo determinante nella crescita dell’individuo. In questa direzione l’arte contemporanea contribuisce a migliorare la qualità della vita di tutta la comunità dei cittadini occupandosi di temi e di valori comuni in modo straordinario e anticipando rivoluzioni del pensiero e del costume che si riflettono inevitabilmente nella società.”

Il sottotitolo della mostra allude a “La sfida al labirinto”, saggio seminale di Italo Calvino del 1962, a cui Né altra Né questa si ispira. In questo testo l’autore propone un lavoro culturale aperto a tutti i linguaggi possibili e che si senta corresponsabile nella costruzione di un mondo che, avendo perso i propri punti di riferimento tradizionali, non chiede più di essere semplicemente rappresentato. Per visualizzare le ingarbugliate forme della realtà contemporanea, Calvino elabora l’efficace metafora del labirinto: un apparente intrico di linee e tendenze in realtà costruito secondo regole rigorose.

Interpretando tale linea di pensiero in chiave artistica, Ne´ altra Ne´ questa attualizza – già a partire dal suo titolo, che disorienta attraverso la figura retorica dell’anastrofe – un progetto artistico di “sfida al labirinto” in cui si comprende la lezione di Calvino, mettendo in scena un percorso espositivo non lineare e non riducibile ad un insieme di traiettorie pulite e prevedibili. Molteplici e generosi sono i percorsi e le interpretazioni offerti allo spettatore, a cui la mostra affida la possibilità di assumere un ruolo attivo nel determinare il proprio itinerario e mettersi così a confronto con l’esito delle proprie scelte, contemplando il dubbio e l’indeterminatezza come parti ineludibili della conoscenza.

“L’impegno curatoriale di quest’anno – sottolinea il Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta - mi sembra evidente e già costituisce motivo di interesse; gli artisti presenti sono davvero degni della nostra attenzione. L’idea del labirinto, che può condurre per varie vie e interruzioni di percorsi alla difficile ricerca di una via di uscita, ben si affianca all’idea di una Biennale nella quale si offrono a chi la percorre una miriade di occasioni, di porte aperte e di luoghi del desiderio, tutti affascinanti e disorientanti a un tempo, nei quali perdersi non è il peggiore dei peccati.”

Il calendario degli appuntamenti culturali prevede un ciclo di talk a cui partecipano gli artisti Enrico David e Liliana Moro e il Prof. Marco Pasi. Alla film-maker Anna Franceschini è affidata la documentazione della mostra, realizzata come film corto sperimentale con il titolo Bustrofedico, che verrà presentato a Venezia a fine mostra, prodotto da In Between Art Film e Gluck50.

Nell’ambito della mostra verrà inoltre realizzato un programma di attività educative rivolto ai giovani studenti delle accademie e delle scuole di ballo, promosso dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane del MiBAC, che si articolerà in un ciclo di appuntamenti, curati da Milovan Farronato, Stella Bottai e Lavinia Filippi, ospitati all’interno del Padiglione.



COMUNICATO STAMPA

Il Padiglione Italia è stato realizzato anche grazie al sostegno di Gucci e FPT Industrial, main sponsor della mostra, e al contributo del main donor Nicoletta Fiorucci Russo. Uno speciale ringraziamento anche a tutti gli altri donor, i cui nomi appaiono nel colophon, che hanno dato al progetto un contributo fondamentale; grazie anche agli sponsor tecnici Gemmo, C&C-Milano che hanno generosamente contribuito con le loro forniture e a Select Aperitivo.

Il Padiglione Italia verrà inaugurato in occasione della vernice della 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia 2019 (8, 9 e 10 maggio). L’apertura al pubblico è prevista da sabato 11 maggio a domenica 24 novembre 2019.


Testo curatoriale di Milovan Farronato

Enrico David, Chiara Fumai, Liliana Moro

Né altra Né questa: La sfida al Labirinto è un progetto che cerca di dare forma all’intricata complessità dei rapporti che definiscono l’esperienza del conoscere. Avvalendosi della struttura fisica e metaforica del labirinto, la mostra mette in scena l’impossibilità di ridurre l’esistenza a un insieme di traiettorie pulite e prevedibili, cercando piuttosto di evocare la non-linearità, il dubbio, la transitorietà e l’intuizione come strumenti ineludibili del sapere umano.

Uno dei concetti chiave di Né altra Né questa, maturato insieme al coordinatore scientifico Stella Bottai, è l’idea della “sfida al labirinto” formulata dal romanziere e critico Italo Calvino nell’omonimo saggio del 1962, tradotto per la prima volta in inglese nel catalogo della nostra mostra. Ne “La sfida al labirinto”, lo scrittore elabora i termini di un progetto culturale che cerca una letteratura aperta “a tutti i linguaggi possibili”. In risposta alle complessità della cultura industriale, Calvino propone un lavoro intellettuale che si senta corresponsabile nella costruzione di un mondo che ha perso i propri punti di riferimento tradizionali e non chiede più di essere semplicemente rappresentato. Per visualizzare le ingarbugliate forme della contemporaneità, Calvino suggerisce così l’efficace metafora, cara anche a Jorge Luis Borges, del labirinto: un intrico di linee, immagini, tendenze apparentemente in disaccordo, in realtà costruito secondo regole rigorose. “È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto”.

Ogni spazio e`, di regola, identificato dalla sua funzione pratica o simbolica: in chiesa o in un salotto, il nostro sguardo, le nostre azioni e il nostro cammino vengono orientati con dolcezza o severita`, con urgenza o calma, con evidenza o garbato mistero. E appunto in quanto spazio, anche il labirinto non sfugge a una teleologia spaziale, anzi, ne e` forse la piu` premeditata delle manifestazioni: il suo determinismo progettuale e` schiacciante. Dal labirinto, una volta entrati, si deve uscire. Nessun’altra azione e` concessa se non il tentativo di andare verso una scappatoia, una fuga. Nella sua ‘sfida’, tuttavia, Calvino non è alla ricerca di una risoluzione; piuttosto si interroga su come poter vivere dall’interno in maniera attiva l’esperienza del labirinto esistenziale.

L’essenza labirintica non e` altro che costante differimento: la continua diversione del fine ultimo di questo spazio dell’immaginazione e` il suo eterno presente, il suo esserci. Spazio-ossimoro per eccellenza, fa della contraddizione la sua regola organizzativa. Come se ogni angolo fosse un continuo “no! no! no!”, che invece di far avvicinare alla meta la fa progressivamente dimenticare. E solo nella dimenticanza di cio` che sembra essenziale, urgente, capitale, si trova la liberta`. Liberi dall’ideologia dell’arrivo si puo` cominciare a danzare in tondo, a seguire con piacere le deviazioni, fino a trovar quasi la curva nella retta, o la retta nella curva, negli atomi infiniti dello spazio finalmente dilatato che si fa tempo in purezza, dimentichi del fardello della nostra umanita`, o forse pienamente umani.

Gli artisti coinvolti sono Enrico David (Ancona, 1966), Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017) e Liliana Moro (Milano, 1961). Sebbene molto diversi, le loro opere e biografie – su cui mi soffermerò a breve – sono significativi percorsi artistici contemporanei che si distinguono per spirito di ricerca tra passato e presente. Nel labirinto di Ne´ altra Ne´ questa, che abbiamo disegnato insieme a Liliana ed Enrico, con la compagnia astrale di Chiara e con l’attento contributo progettuale dell’exhibition designer Valerio Di Lucente, coesistono diversi centri, e non in perfetto asse. Stanze di varia misura, pareti di diverse altezze, aperture e passaggi accessibili e non attraversano le due stanze del padiglione rendendole di fatto uno spazio concettualmente unico. Le opere esposte in stretto dialogo con l’allestimento ne rivelano la natura rizomatica, penetrano e attraversano le pareti, a generare continuamente nuove vie. Nel nostro labirinto, per citare Umberto Eco, “anche le scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia contribuiscono a complicare il problema”.

Le opere d’arte sono collocate strategicamente in diversi punti del percorso con l’intento di mettere in relazione diretta le tre pratiche artistiche e insieme di enfatizzare meccanismi di drammaticità e sorpresa nell’incontro tra l’opera e il pubblico. Allo spettatore si affida la possibilità di prendere decisioni e orientare il proprio percorso in una direzione piuttosto che in un’altra, creando molteplici narrative percorribili sul modello del meccanismo del libro-gioco (o libro-game), caro anche allo stesso Calvino, il cui Castello dei Destini Incrociati (1969) è esempio di letteratura combinatoria in cui le storie nascono da “un numero finito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano”.

L’attivazione del ruolo dello spettatore come partecipante chiave nella creazione di un senso per la mostra è tratto fondamentale del progetto. L’esplorazione di un labirinto non è, in fondo, altro che una messa a confronto tra l’individuo e l’esito delle proprie scelte. Il titolo della mostra, Ne´ altra ne´ questa, che in inglese abbiamo scelto di tradurre con Neither Nor, riecheggia un titolo del filosofo danese Søren Kierkegaard: Aut-Aut (1843), in inglese Either/Or. L’opera, che si interroga sulle modalita` dell’esistenza, esplora, attraverso gli scritti e i pensieri di due personaggi immaginari, altrettante possibilita`: una e` la vita estetica, edonistica, improntata al piacere, l’altra invece e` quella etica, che si basa sulla responsabilita` e il rispetto degli altri. Resta ancora oggi in dubbio quale sia davvero la strada consigliata dall’autore, il quale descrive con cosi` tanto coinvolgimento e passione la via edonistica da non sembrare pronto a rinunciarvi completamente. L’attesa del piacere e` essa stessa il piacere, come sosteneva Gotthold Ephraim Lessing?

In attesa di scoprirlo e di fronte alla decisione di avventurarsi o meno nel nostro labirinto, vi lascio con alcune avvertenze d’uso, consigli per la navigazione o per l’eventuale naufragio: indugiare e non avere paura. Non esiste il perdersi, ma solo il tornare sui propri passi, ed e` legittimo: regredire non significa peggiorare. Godete il senso di un tempo dilatato e non abbiate ansia di dover vedere e leggere tutto. Ogni strada si ricongiunge a un’altra, ogni scelta e` giusta, non ne esiste una sbagliata. Lo spazio e` generoso, offre ossigeno, non e` soffocante: si apre, non si chiude. Forse a un certo punto potreste persino trovare voi stessi, come afferma Mario Praz: “Sovente l’uomo vi trova se medesimo, ecco perché in fondo al labirinto di frequente e` collocato uno specchio: l’ultimo mistero della ricerca, dio nascosto o mostro, e` lui stesso”. Se sarete piu` fortunati, invece, da una breccia nel muro o sotto l’orlo di un tendaggio che non tocca il pavimento potreste addirittura incontrare qualcun altro che vi distragga, per un momento, da voi stessi e vi faccia ancora una volta cambiar strada, distogliendovi dalla ricerca infinita di assoluti introvabili, finalmente interrotta da un affetto improvviso o da una simpatia spontanea, trovati dietro un angolo o nel lampo di un riflesso.


 ENRICO DAVID

Dopo aver partecipato due volte all’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia – con Francesco Bonami nel 2003 e Massimiliano Gioni nel 2013 – Enrico David (Ancona, 1966) rappresenta l’Italia per la prima volta quest’anno. La sua pratica artistica ha un legame stretto con la memoria e con il passato, sia nei contenuti sia nella forma. Attraverso le sue opere David mette in scena ricordi personali e collettivi, esprimendo una vasta gamma di stati emotivi e recuperando tecniche tradizionali. Il suo lavoro riflette un bagaglio culturale dai tratti italiani sia nei riferimenti estetici e storico-artistici sia nella scelta di alcuni materiali tipici della manifattura artigianale. Tuttavia il suo immaginario è ricco di suggestioni maturate nel corso degli anni, a partire dalla formazione avvenuta prevalentemente a Londra, dove ancora oggi risiede. La figura umana è uno dei temi ricorrenti di David, che la elabora e la restituisce come testimonianza di continue trasformazioni, attraverso diversi mezzi espressivi tra cui la scultura, la pittura, il disegno, la tessitura di arazzi e l’installazione. Le sue figure antropomorfe asessuate e le sue configurazioni nascono da intuizioni ed evolvono in un processo di sintesi inclusiva che travalica i confini individuali e diventa traccia riconoscibile e condivisibile collettivamente. Le immagini che popolano il mondo plastico e pittorico di Enrico sono rassegnate, sbottonate, contorte, grottesche, claudicanti, a volte mostruose e armate di strumenti a noi incomprensibili, che talvolta si sdoppiano e si ripetono tanto da formare labirinti contenutistici e formali.

Congiuntamente alla presentazione di alcune opere storiche, che verranno rivisitate e aggiornate per Venezia, la selezione dei lavori esposti si concentra su nuove produzioni. Da figure antropomorfe a scala naturale in bronzo a piccoli oggetti e dipinti, tutte queste opere sono concepite da David specificatamente per questo itinerario espositivo. David inoltre risponde direttamente, con una scultura, a un intervento di Chiara Fumai.

 CHIARA FUMAI

Scomparsa a soli 39 anni nell’agosto 2017, Chiara Fumai è stata un’importante artista ammirata sia in Italia che all’estero per aver sviluppato una dedicata rilettura in chiave
femminista del canone storico occidentale da sempre improntato su valori di dominazione patriarcale. Sebbene cessata prematuramente, la sua carriera ha avuto un’influenza
profonda sulle generazioni successive, visibile soprattutto in questi ultimi anni di riacceso e diffuso interesse verso pratiche magiche e culti profani in relazione al discorso femminista. Con il suo lavoro, Fumai ha portato avanti un’indagine rigorosa, dai toni personali, passionali e non accademici, focalizzata su avvenimenti e personaggi storici, reali e fittizi, rappresentativi della marginalizzazione subita dalle donne nel corso dei secoli in varie situazioni e contesti dalla cultura alla religione e la politica. La sua ricerca, non solo critica ma anche, sempre, profondamente propositiva, si attualizzava nel presente soprattutto attraverso lavori performativi, spesso in formato di lezione, messi in scena dall’artista stessa. Con i suoi collages, ambienti e impersonazioni, Fumai riportava alla luce e ridava voce a figure di opposizione alla cultura dominante, come le femministe Carla Lonzi e Valerie Solanas, la medium Eusapia Palladino, la dogaressa Elisabetta Querini Valier, e altre donne ancora, spesso dimenticate, marginalizzate, o villipese come la circense Zalumma Agra. L’uso della parola - scritta, pronunciata, ricamata, talvolta codificata in sigilli magici – era chiave per Fumai: dalla minaccia all’apologia, dall’augurio al sortilegio, la valenza simbolica e rappresentativa del verbo diventava strumento essenziale per l’annunciazione, emancipazione e realizzazione pratica di un modus operandi alternativo all’oppressione patriarcale. Per il Padiglione Italia, verrà presentata in esclusiva e anteprima assoluta una nuova produzione di Fumai. Questo lavoro, inedito, sarà accompagnato da opere del passato selezionate con il prezioso aiuto di The Church of Chiara Fumai,
organizzazione di cui sono tra i fondatori, presieduta dalla madre di Chiara, Liliana Fumai, e diretta da Francesco Urbano Ragazzi.

 LILIANA MORO

Invitata a partecipare alla nona edizione di Documenta del 1992, Liliana Moro propose di installare una Fiat Cinquecento che, perennemente in moto, tentasse invano di trainare con un cavo la pesante struttura del Fredericianum – sede della mostra in cui erano esposte le opere dei maggiori rappresentanti dell’Arte Povera. Seppur non realizzato, il progetto vive oggi in forma di collage e rimane rappresentativo dell’attitudine di quest’artista nei confronti del passato: il lavoro di Liliana Moro si prende carico della storia e di portarla oltre. Un’operazione che, a detta dell’artista stessa, si avvale proprio di quella “sottrazione di peso” stilistica celebrata da Calvino nella prima delle sue Lezioni Americane, La Leggerezza
(1985).

Lavorando con diversi materiali e in diversa scala, Liliana Moro ha attitudine all’essenzialità. Da non confondersi con uno stile minimal, il suo fare netto e preciso porta alla creazione di gesti apparentemente semplici che, proprio in quanto tali, si aprono a una miriade di interpretazioni diverse. Poetica ma non romantica, Moro mette in gioco contenuti e oggetti d’uso comune non tanto per illustrarli quanto per rivisitare la loro funzione originale e invitarci ad andare oltre ciò che è visibile. Un importante filo conduttore nella sua ricerca è l’uso dello spazio nelle sue declinazioni formali, concettuali e semantiche: per esempio attraverso interventi nello spazio pubblico, o con l’alterazione dei rapporti di scala tra oggetti, per arrivare alla spazialità intrinseca a molte sue opere, che spesso instaurano meccanismi di relazione con lo spettatore tali per cui un’azione attiva, come l’abbassarsi o il salire, diventa implicitamente necessaria all’esperienza.

Per il Padiglione Italia verranno presentate alcune opere storiche accanto a nuove produzioni, comprendenti non solo nuove commissioni ma anche lavori esistenti e mai esposti, accumulati dall’artista nel proprio studio nel corso degli anni. Questa costellazione mette insieme i momenti fondativi della ricerca dell’artista e del suo sviluppo, dando visibilità alla viscerale coerenza nell’arco di un lungo tempo del suo iter.

Milovan Farronato

Curatore del Padiglione Italia


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