Si guarda
indietro perché si vuole capire il presente? o forse per trarre nuova
linfa?
Non penso a
nessuna delle due possibilità, penso che si guarda al passato perché chi lo fa
oramai è vecchio e non ha più interesse al futuro.
Questo è il
grande dilemma che la mostra alla Fondazione Prada pare esprimere.
In un mondo nuovo
e mutato chi ha superato i quarant’anni si sente oramai marginalizzato dalle
nuove culture e si rifugia nella ritrita illusione dei giovanili mutamenti,
poiché nei nuovi non può consapevolmente esserne parte.
La mostra molto
ben confezionata, svela questo doloso sentimento di disperazione.
Una
riproposizione che vista ora mette in risalto un cambiamento estetico che
evidenzia la dicotomia con la realtà che chi visse quei tempi ora non vuole più
sviluppare, o forse non ha mai sviluppato.
Cambiamenti
idealizzati staticizzati nelle opere, che persa la bellezza del sentimento che
le animava sono diventati inutili prodotti commerciali.
Che fine hanno
fatto le tante utopie?
Gli artisti rivoluzionari
hanno messo le pantofole, le opere sono diventati sterili mantra per
abbindolare ignari giovani artisti alla filiera del consumismo.
Gli stessi
stilemmi che diventati riti si possono vedere nella mostra a Palazzo Contarini
Polignac, vicino all’Accademia, per il Premio Future Generation.
L’arte
contemporanea con quella mostra fece il passo più lungo della gamba e l’attuale
crisi/cambiamenti la mette in pieno risalto.
Oggi gli artisti
sono diventati ottimi impiegati di un sistema che li ha svuotati del ruolo
“rivoluzionario” per renderli comprimarie figure.
La celebre mostra
del funzionario svizzero è stato l’atto di avvio di un nuovo modo per vincolare
la libertà espressiva al servizio di un sistema economico che ha appiattito la
diversità/qualità omologando al basso costo produttivo il vantaggio del
capitale.