La luce traspare dagli antichi finestroni gotici e riflette le dinamiche torsione di corpi cristallizzati nel marmo. Accanto la quotidianità sacrale dell’informazione è accartocciata, mentre qualcuno ha cancellato parole da una serie di testi, compensate da uno sproporzionato tendaggio ricoperto da una compulsiva incisione di segni a biro, tracce. Questi alcuni delle tante belle possibilità di testimonianze spirituali nella mostra di Ermanno Tedeschi, costruita elegantemente nel complesso monumentale di San Francesco a Cuneo. Siamo così in un cammino fra diversi opere in spazi che dialogano con le antiche tracce di questa chiesa tardo romanica. Degli accenni di stanze propongono attimi di sosta per lo sguardo e la mente, libera di ripensare al bisogno che supera la dimensione terrena con opere che propongono sollecitazioni e rivisitazioni di questo ancestrale bisogno umano. La mostra, ad ingresso gratuito, durerà fino al 28 Giugno.
La bellezza e l’unicità della Biennale è non tanto il progetto curatoriale, che come in questa edizione è alquanto banale, ma la grande varietà proposta dai padiglioni nazionali che rendono eccezionale l’evento, quest’anno proprio questa grande diversità di proposte è molto forte.
Questi padiglioni sono gestiti indipendentemente dalle singole nazioni e possono proporsi in sintonia col progetto curatoriale o seguire una propria strada.
Una parte è presente nei giardini della Biennale e recentemente ne sono stati realizzati alcuni nelle aree dell’Arsenale, da alcuni anni poi molti sono sparsi nella città o sulle isole circostanti.
Iniziamo da quelli presenti nei giardini; personalmente ho trovato quelli dell’ Australia (che quest’anno ha anche rinnovato architettonicamente l’edificio) con l’intervento di Fiona Hall e il Giappone con l’opera Chiharu Shiota siano gli allestimenti più belli. La Serbia con le bandiere di Ivan Grubanov quello più elegante, bella la pittura della Romania, molto intelligente il progetto sulla pittura di Adrian Ghenie, luminose e ironiche le sculture della Lucas all’Inghilterra, divertente e cinico il Canada, gradevoli il Brasile e la Francia, noiosetti il Venezuela, la Danimarca e la Svizzera, troppo minimale l’Austria.
L’unico futuribile è la Corea. Nei casi dei progetti collettivi mi ha colpito il lavoro di James Beckett nel Padiglione Belga.
Mi delude assai Joan Jonas nel Padiglione statunitense, forse è più un omaggio che un lavoro.
Veniamo ora all’Arsenale dove vi segnalo la vasca di Tuvalu, che l’artista Vincent J.F. Huang, usa per condividere la fragile condizione ambientale del paese. Forte il tappetto aereo di fotografie di Kutlug Ataman per la Turchia.
Piccoli ma molto interessanti quelli della Santa Sede, curata da Micol Forti e il Padiglione greco con un progetto di Alexios Papazacharias molto delicato e intimo, che riconsidera la dimensione quotidiana.
Siccome non tutti i paesi possono stare negli spazi ufficiali alcuni usano antichi palazzi della città o creano, come l'Ucraina, momentanee strutture, proprio 'Hope!' si presenta nel suo padiglione trasparente sostenuto da Victor Pinchuk, sulla riva degli Schiavoni, e qui presenta un piccolo ma intenso gruppo di artisti selezionati da Björn Geldhorf.
In zona Campo Santo Stefano c’è il bel lavoro di Christodoulos Panayiotou per il padiglione del Cipro, quello doppio dell’Azerbaijan, una con “Beyond the Line” a Palazzo Lezze e l’altra “Vita Vitale” a Ca' Garzoni, qui in una interessante attenzione alla complessa situazione ambientale, entrambi molto ben curati.
Delude per la dicotomia fra opera e ambiente il progetto di Simon Denny per il padiglione della Nuova Zelanda, troppo delicato lo spazio della Marciana per questo tipo di opere, che sarebbero in un contesto più giusto molto interessanti.
Ha suscitato molto interesse e polemiche il progetto della moschea di Christoph Büchel come padiglione dell’Islanda, molto ben realizzato e attuale.
Concludo con una nota positiva, finalmente nei giardini non ci sono code da fare per vedere i padiglioni, causa di inutili perdite di tempo e spesso grandi delusioni.
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