Nei
giorni scorsi al Mibact a Roma è stato presentato il Padiglione Italia 2019
della Biennale di Venezia, erano presenti il Ministro Bonisoli e Milovan Farronato, curatore del padiglione
che proporrà le opere di Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro.
Il
progetto ha delle basi molto interessanti sviluppato come un labirinto che, con
due ingressi, avvierà possibili incontri, senza priorità, liberi e casuali,
come un gioco di tarocchi che ogni volta può mutare storie e significati,
cambiando la casualità delle carte scelte.
Il Ministero per i beni e le attività culturali investirà
a 600mila euro per l'intero progetto a cui si affiancano, con 700mila euro, un
gruppo di sponsor e collezionisti privati (Main .Sponsor:
Gucci, FPT Industrial, Sponsor Tecnici: Gemmo, C&C-Milano, Select
Aperitivo)
Via
le premesse ci sono e fra due mesi si vedrà se saranno confermate.
CS
11 maggio – 24 novembre 2019
Roma, 27 marzo 2019 - Il progetto espositivo del
Padiglione Italia alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di
Venezia (11 maggio – 24 novembre 2019) è stato presentato a Roma nella sede del
MiBAC dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli con il
Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, il Direttore Generale Arte
e Architettura contemporanee e Periferie urbane e Commissario del Padiglione
Italia Federica Galloni, il Curatore Milovan Farronato.
Né altra Né questa: La sfida al Labirinto è il titolo
della mostra, a cura di Milovan Farronato, a cui partecipano, con lavori
inediti e opere storiche, tre artisti italiani: Enrico David (Ancona, 1966),
Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017) e Liliana Moro (Milano, 1961).
Spiega Milovan Farronato: “Venezia è un labirinto che nei
secoli ha affascinato e ispirato l’immaginazione di tanti creativi, tra cui
Jorge Luis Borges e Italo Calvino, i due più grandi labirintologi contemporanei
a detta del matematico Pierre Rosenstiehl. Venezia, indiscusso centro
cartografico del Rinascimento, viene descritta da Calvino come un luogo in cui
le carte geografiche sono sempre da rifare dato che i limiti tra terra e acqua
cambiano continuamente, rendendo gli spazi di questa città dominati da
incertezza e variabilità. È in questo contesto dal carattere imprevedibile che
emerge Né altra Né questa, una mostra in cui le opere esposte, in stretto
dialogo tra di loro e con l’allestimento, generano continuamente nuovi percorsi
e nuove interpretazioni, ramificati come un micelio.”
“La creatività italiana conferma la sua importanza nel
panorama internazionale con il progetto del Padiglione Italia alla prossima
Biennale Arte - dichiara il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto
Bonisoli - che coniuga la novità della visione del curatore con la bravura
degli artisti e la qualità della ricerca. L’Italia è orgogliosa del proprio
passato, ma sa interpretare lo spirito dei tempi con la sperimentazione e la
valorizzazione dei talenti dell’arte contemporanea”.
“Il lavoro della Direzione Generale - afferma il
Direttore Generale e Commissario del Padiglione Italia Federica Galloni - è
orientato alla valorizzazione e alla promozione dell’arte e dell’architettura
contemporanee, in linea con quanto accade in Europa. La cultura e la creatività
svolgono un ruolo determinante nella crescita dell’individuo. In questa direzione
l’arte contemporanea contribuisce a migliorare la qualità della vita di tutta
la comunità dei cittadini occupandosi di temi e di valori comuni in modo
straordinario e anticipando rivoluzioni del pensiero e del costume che si
riflettono inevitabilmente nella società.”
Il sottotitolo della mostra allude a “La sfida al
labirinto”, saggio seminale di Italo Calvino del 1962, a cui Né altra Né questa
si ispira. In questo testo l’autore propone un lavoro culturale aperto a tutti
i linguaggi possibili e che si senta corresponsabile nella costruzione di un
mondo che, avendo perso i propri punti di riferimento tradizionali, non chiede
più di essere semplicemente rappresentato. Per visualizzare le ingarbugliate
forme della realtà contemporanea, Calvino elabora l’efficace metafora del
labirinto: un apparente intrico di linee e tendenze in realtà costruito secondo
regole rigorose.
Interpretando tale linea di pensiero in chiave artistica,
Ne´ altra Ne´ questa attualizza – già a partire dal suo titolo, che disorienta attraverso
la figura retorica dell’anastrofe – un progetto artistico di “sfida al
labirinto” in cui si comprende la lezione di Calvino, mettendo in scena un
percorso espositivo non lineare e non riducibile ad un insieme di traiettorie
pulite e prevedibili. Molteplici e generosi sono i percorsi e le
interpretazioni offerti allo spettatore, a cui la mostra affida la possibilità
di assumere un ruolo attivo nel determinare il proprio itinerario e mettersi
così a confronto con l’esito delle proprie scelte, contemplando il dubbio e
l’indeterminatezza come parti ineludibili della conoscenza.
“L’impegno curatoriale di quest’anno – sottolinea il
Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta - mi sembra evidente e già
costituisce motivo di interesse; gli artisti presenti sono davvero degni della
nostra attenzione. L’idea del labirinto, che può condurre per varie vie e
interruzioni di percorsi alla difficile ricerca di una via di uscita, ben si
affianca all’idea di una Biennale nella quale si offrono a chi la percorre una
miriade di occasioni, di porte aperte e di luoghi del desiderio, tutti
affascinanti e disorientanti a un tempo, nei quali perdersi non è il peggiore
dei peccati.”
Il calendario degli appuntamenti culturali prevede un
ciclo di talk a cui partecipano gli artisti Enrico David e Liliana Moro e il
Prof. Marco Pasi. Alla film-maker Anna Franceschini è affidata la
documentazione della mostra, realizzata come film corto sperimentale con il
titolo Bustrofedico, che verrà presentato a Venezia a fine mostra, prodotto da
In Between Art Film e Gluck50.
Nell’ambito della mostra verrà inoltre realizzato un
programma di attività educative rivolto ai giovani studenti delle accademie e
delle scuole di ballo, promosso dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee
e Periferie urbane del MiBAC, che si articolerà in un ciclo di appuntamenti,
curati da Milovan Farronato, Stella Bottai e Lavinia Filippi, ospitati
all’interno del Padiglione.
COMUNICATO STAMPA
Il Padiglione Italia è stato realizzato anche grazie al
sostegno di Gucci e FPT Industrial, main sponsor della mostra, e al contributo
del main donor Nicoletta Fiorucci Russo. Uno speciale ringraziamento anche a
tutti gli altri donor, i cui nomi appaiono nel colophon, che hanno dato al
progetto un contributo fondamentale; grazie anche agli sponsor tecnici Gemmo,
C&C-Milano che hanno generosamente contribuito con le loro forniture e a
Select Aperitivo.
Il Padiglione Italia verrà inaugurato in occasione della
vernice della 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia
2019 (8, 9 e 10 maggio). L’apertura al pubblico è prevista da sabato 11 maggio
a domenica 24 novembre 2019.
Testo curatoriale di Milovan Farronato
Enrico David, Chiara Fumai, Liliana Moro
Né altra Né questa: La sfida al Labirinto è un progetto
che cerca di dare forma all’intricata complessità dei rapporti che definiscono
l’esperienza del conoscere. Avvalendosi della struttura fisica e metaforica del
labirinto, la mostra mette in scena l’impossibilità di ridurre l’esistenza a un
insieme di traiettorie pulite e prevedibili, cercando piuttosto di evocare la
non-linearità, il dubbio, la transitorietà e l’intuizione come strumenti
ineludibili del sapere umano.
Uno dei concetti chiave di Né altra Né questa, maturato
insieme al coordinatore scientifico Stella Bottai, è l’idea della “sfida al
labirinto” formulata dal romanziere e critico Italo Calvino nell’omonimo saggio
del 1962, tradotto per la prima volta in inglese nel catalogo della nostra
mostra. Ne “La sfida al labirinto”, lo scrittore elabora i termini di un
progetto culturale che cerca una letteratura aperta “a tutti i linguaggi
possibili”. In risposta alle complessità della cultura industriale, Calvino
propone un lavoro intellettuale che si senta corresponsabile nella costruzione
di un mondo che ha perso i propri punti di riferimento tradizionali e non
chiede più di essere semplicemente rappresentato. Per visualizzare le
ingarbugliate forme della contemporaneità, Calvino suggerisce così l’efficace
metafora, cara anche a Jorge Luis Borges, del labirinto: un intrico di linee,
immagini, tendenze apparentemente in disaccordo, in realtà costruito secondo
regole rigorose. “È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una
letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla
letteratura della resa al labirinto”.
Ogni spazio e`, di regola, identificato dalla sua
funzione pratica o simbolica: in chiesa o in un salotto, il nostro sguardo, le
nostre azioni e il nostro cammino vengono orientati con dolcezza o severita`,
con urgenza o calma, con evidenza o garbato mistero. E appunto in quanto
spazio, anche il labirinto non sfugge a una teleologia spaziale, anzi, ne e`
forse la piu` premeditata delle manifestazioni: il suo determinismo progettuale
e` schiacciante. Dal labirinto, una volta entrati, si deve uscire. Nessun’altra
azione e` concessa se non il tentativo di andare verso una scappatoia, una
fuga. Nella sua ‘sfida’, tuttavia, Calvino non è alla ricerca di una
risoluzione; piuttosto si interroga su come poter vivere dall’interno in
maniera attiva l’esperienza del labirinto esistenziale.
L’essenza labirintica non e` altro che costante
differimento: la continua diversione del fine ultimo di questo spazio
dell’immaginazione e` il suo eterno presente, il suo esserci. Spazio-ossimoro
per eccellenza, fa della contraddizione la sua regola organizzativa. Come se
ogni angolo fosse un continuo “no! no! no!”, che invece di far avvicinare alla
meta la fa progressivamente dimenticare. E solo nella dimenticanza di cio` che
sembra essenziale, urgente, capitale, si trova la liberta`. Liberi
dall’ideologia dell’arrivo si puo` cominciare a danzare in tondo, a seguire con
piacere le deviazioni, fino a trovar quasi la curva nella retta, o la retta
nella curva, negli atomi infiniti dello spazio finalmente dilatato che si fa
tempo in purezza, dimentichi del fardello della nostra umanita`, o forse
pienamente umani.
Gli artisti coinvolti sono Enrico David (Ancona, 1966),
Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017) e Liliana Moro (Milano, 1961). Sebbene
molto diversi, le loro opere e biografie – su cui mi soffermerò a breve – sono
significativi percorsi artistici contemporanei che si distinguono per spirito
di ricerca tra passato e presente. Nel labirinto di Ne´ altra Ne´ questa, che
abbiamo disegnato insieme a Liliana ed Enrico, con la compagnia astrale di
Chiara e con l’attento contributo progettuale dell’exhibition designer Valerio
Di Lucente, coesistono diversi centri, e non in perfetto asse. Stanze di varia
misura, pareti di diverse altezze, aperture e passaggi accessibili e non
attraversano le due stanze del padiglione rendendole di fatto uno spazio
concettualmente unico. Le opere esposte in stretto dialogo con l’allestimento
ne rivelano la natura rizomatica, penetrano e attraversano le pareti, a
generare continuamente nuove vie. Nel nostro labirinto, per citare Umberto Eco,
“anche le scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia contribuiscono a
complicare il problema”.
Le opere d’arte sono collocate strategicamente in diversi
punti del percorso con l’intento di mettere in relazione diretta le tre
pratiche artistiche e insieme di enfatizzare meccanismi di drammaticità e
sorpresa nell’incontro tra l’opera e il pubblico. Allo spettatore si affida la
possibilità di prendere decisioni e orientare il proprio percorso in una
direzione piuttosto che in un’altra, creando molteplici narrative percorribili
sul modello del meccanismo del libro-gioco (o libro-game), caro anche allo
stesso Calvino, il cui Castello dei Destini Incrociati (1969) è esempio di
letteratura combinatoria in cui le storie nascono da “un numero finito di
elementi le cui combinazioni si moltiplicano”.
L’attivazione del ruolo dello spettatore come
partecipante chiave nella creazione di un senso per la mostra è tratto fondamentale
del progetto. L’esplorazione di un labirinto non è, in fondo, altro che una
messa a confronto tra l’individuo e l’esito delle proprie scelte. Il titolo
della mostra, Ne´ altra ne´ questa, che in inglese abbiamo scelto di tradurre
con Neither Nor, riecheggia un titolo del filosofo danese Søren Kierkegaard:
Aut-Aut (1843), in inglese Either/Or. L’opera, che si interroga sulle modalita`
dell’esistenza, esplora, attraverso gli scritti e i pensieri di due personaggi
immaginari, altrettante possibilita`: una e` la vita estetica, edonistica,
improntata al piacere, l’altra invece e` quella etica, che si basa sulla
responsabilita` e il rispetto degli altri. Resta ancora oggi in dubbio quale
sia davvero la strada consigliata dall’autore, il quale descrive con cosi`
tanto coinvolgimento e passione la via edonistica da non sembrare pronto a
rinunciarvi completamente. L’attesa del piacere e` essa stessa il piacere, come
sosteneva Gotthold Ephraim Lessing?
In attesa di scoprirlo e di fronte alla decisione di avventurarsi
o meno nel nostro labirinto, vi lascio con alcune avvertenze d’uso, consigli
per la navigazione o per l’eventuale naufragio: indugiare e non avere paura.
Non esiste il perdersi, ma solo il tornare sui propri passi, ed e` legittimo:
regredire non significa peggiorare. Godete il senso di un tempo dilatato e non
abbiate ansia di dover vedere e leggere tutto. Ogni strada si ricongiunge a
un’altra, ogni scelta e` giusta, non ne esiste una sbagliata. Lo spazio e`
generoso, offre ossigeno, non e` soffocante: si apre, non si chiude. Forse a un
certo punto potreste persino trovare voi stessi, come afferma Mario Praz:
“Sovente l’uomo vi trova se medesimo, ecco perché in fondo al labirinto di
frequente e` collocato uno specchio: l’ultimo mistero della ricerca, dio
nascosto o mostro, e` lui stesso”. Se sarete piu` fortunati, invece, da una
breccia nel muro o sotto l’orlo di un tendaggio che non tocca il pavimento
potreste addirittura incontrare qualcun altro che vi distragga, per un momento,
da voi stessi e vi faccia ancora una volta cambiar strada, distogliendovi dalla
ricerca infinita di assoluti introvabili, finalmente interrotta da un affetto
improvviso o da una simpatia spontanea, trovati dietro un angolo o nel lampo di
un riflesso.
ENRICO DAVID
Dopo aver partecipato due volte all’Esposizione
Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia – con Francesco Bonami nel 2003
e Massimiliano Gioni nel 2013 – Enrico David (Ancona, 1966) rappresenta
l’Italia per la prima volta quest’anno. La sua pratica artistica ha un legame
stretto con la memoria e con il passato, sia nei contenuti sia nella forma.
Attraverso le sue opere David mette in scena ricordi personali e collettivi,
esprimendo una vasta gamma di stati emotivi e recuperando tecniche
tradizionali. Il suo lavoro riflette un bagaglio culturale dai tratti italiani
sia nei riferimenti estetici e storico-artistici sia nella scelta di alcuni
materiali tipici della manifattura artigianale. Tuttavia il suo immaginario è
ricco di suggestioni maturate nel corso degli anni, a partire dalla formazione
avvenuta prevalentemente a Londra, dove ancora oggi risiede. La figura umana è
uno dei temi ricorrenti di David, che la elabora e la restituisce come
testimonianza di continue trasformazioni, attraverso diversi mezzi espressivi
tra cui la scultura, la pittura, il disegno, la tessitura di arazzi e
l’installazione. Le sue figure antropomorfe asessuate e le sue configurazioni
nascono da intuizioni ed evolvono in un processo di sintesi inclusiva che
travalica i confini individuali e diventa traccia riconoscibile e condivisibile
collettivamente. Le immagini che popolano il mondo plastico e pittorico di
Enrico sono rassegnate, sbottonate, contorte, grottesche, claudicanti, a volte
mostruose e armate di strumenti a noi incomprensibili, che talvolta si
sdoppiano e si ripetono tanto da formare labirinti contenutistici e formali.
Congiuntamente alla presentazione di alcune opere
storiche, che verranno rivisitate e aggiornate per Venezia, la selezione dei
lavori esposti si concentra su nuove produzioni. Da figure antropomorfe a scala
naturale in bronzo a piccoli oggetti e dipinti, tutte queste opere sono
concepite da David specificatamente per questo itinerario espositivo. David
inoltre risponde direttamente, con una scultura, a un intervento di Chiara
Fumai.
CHIARA FUMAI
Scomparsa a soli 39 anni nell’agosto 2017, Chiara Fumai è
stata un’importante artista ammirata sia in Italia che all’estero per aver
sviluppato una dedicata rilettura in chiave
femminista del canone storico occidentale da sempre
improntato su valori di dominazione patriarcale. Sebbene cessata
prematuramente, la sua carriera ha avuto un’influenza
profonda sulle generazioni successive, visibile
soprattutto in questi ultimi anni di riacceso e diffuso interesse verso
pratiche magiche e culti profani in relazione al discorso femminista. Con il
suo lavoro, Fumai ha portato avanti un’indagine rigorosa, dai toni personali,
passionali e non accademici, focalizzata su avvenimenti e personaggi storici,
reali e fittizi, rappresentativi della marginalizzazione subita dalle donne nel
corso dei secoli in varie situazioni e contesti dalla cultura alla religione e
la politica. La sua ricerca, non solo critica ma anche, sempre, profondamente
propositiva, si attualizzava nel presente soprattutto attraverso lavori
performativi, spesso in formato di lezione, messi in scena dall’artista stessa.
Con i suoi collages, ambienti e impersonazioni, Fumai riportava alla luce e
ridava voce a figure di opposizione alla cultura dominante, come le femministe
Carla Lonzi e Valerie Solanas, la medium Eusapia Palladino, la dogaressa
Elisabetta Querini Valier, e altre donne ancora, spesso dimenticate,
marginalizzate, o villipese come la circense Zalumma Agra. L’uso della parola -
scritta, pronunciata, ricamata, talvolta codificata in sigilli magici – era
chiave per Fumai: dalla minaccia all’apologia, dall’augurio al sortilegio, la
valenza simbolica e rappresentativa del verbo diventava strumento essenziale
per l’annunciazione, emancipazione e realizzazione pratica di un modus operandi
alternativo all’oppressione patriarcale. Per il Padiglione Italia, verrà
presentata in esclusiva e anteprima assoluta una nuova produzione di Fumai.
Questo lavoro, inedito, sarà accompagnato da opere del passato selezionate con
il prezioso aiuto di The Church of Chiara Fumai,
organizzazione di cui sono tra i fondatori, presieduta
dalla madre di Chiara, Liliana Fumai, e diretta da Francesco Urbano Ragazzi.
LILIANA MORO
Invitata a partecipare alla nona edizione di Documenta
del 1992, Liliana Moro propose di installare una Fiat Cinquecento che,
perennemente in moto, tentasse invano di trainare con un cavo la pesante
struttura del Fredericianum – sede della mostra in cui erano esposte le opere
dei maggiori rappresentanti dell’Arte Povera. Seppur non realizzato, il
progetto vive oggi in forma di collage e rimane rappresentativo dell’attitudine
di quest’artista nei confronti del passato: il lavoro di Liliana Moro si prende
carico della storia e di portarla oltre. Un’operazione che, a detta
dell’artista stessa, si avvale proprio di quella “sottrazione di peso”
stilistica celebrata da Calvino nella prima delle sue Lezioni Americane, La
Leggerezza
(1985).
Lavorando con diversi materiali e in diversa scala,
Liliana Moro ha attitudine all’essenzialità. Da non confondersi con uno stile
minimal, il suo fare netto e preciso porta alla creazione di gesti
apparentemente semplici che, proprio in quanto tali, si aprono a una miriade di
interpretazioni diverse. Poetica ma non romantica, Moro mette in gioco
contenuti e oggetti d’uso comune non tanto per illustrarli quanto per
rivisitare la loro funzione originale e invitarci ad andare oltre ciò che è
visibile. Un importante filo conduttore nella sua ricerca è l’uso dello spazio
nelle sue declinazioni formali, concettuali e semantiche: per esempio
attraverso interventi nello spazio pubblico, o con l’alterazione dei rapporti
di scala tra oggetti, per arrivare alla spazialità intrinseca a molte sue
opere, che spesso instaurano meccanismi di relazione con lo spettatore tali per
cui un’azione attiva, come l’abbassarsi o il salire, diventa implicitamente
necessaria all’esperienza.
Per il Padiglione Italia verranno presentate alcune opere
storiche accanto a nuove produzioni, comprendenti non solo nuove commissioni ma
anche lavori esistenti e mai esposti, accumulati dall’artista nel proprio
studio nel corso degli anni. Questa costellazione mette insieme i momenti
fondativi della ricerca dell’artista e del suo sviluppo, dando visibilità alla
viscerale coerenza nell’arco di un lungo tempo del suo iter.
Milovan Farronato
Curatore del Padiglione Italia